Le telecamere possono e devono essere usate principalmente per discolpare un dipendente, ma in casi gravi anche per incolparli.
Questo il succo della sentenza con cui la Corte di cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso che era stato presentato da una ex dipendente del Casinò di Venezia, che era stata licenziata nel 2018 con l'accusa di aver sottratto parte delle mance, fatti avvenuti quando la donna, era stata spostata, dopo l'estate alle casse delle slot.
Per documentare l'ammanco, complessivamente pari a 90 euro, e avvalorare la tesi del licenziamento per giusta causa, l'azienda aveva utilizzato dei filmati relativi all'attività della lavoratrice alla cassa slot, ma successivamente il Tribunale aveva stabilito l'illegittimità del licenziamento in quanto basato su riprese audiovisive che, secondo l'accordo sindacale del 2004 “non possono essere impiegate per elevare contestazioni disciplinari ai lavoratori, ma solo a loro discolpa”.
Contestualmente, i giudici di primo grado avevano condannato la casa da gioco a reintegrare la dipendente nel proprio posto di lavoro e a risarcire il danno subito.
Nel 2021 il ribaltamento della sentenza. L'Ufficio del Giudice del Lavoro presso la Corte d'appello di Venezia aveva dichiarato risolto il rapporto di lavoro con decorrenza 6 novembre 2018 ed era appunto seguito il ricorso in Cassazione.
In esso, la ricorrente sosteneva che "dalla lettura delle clausole dell’accordo del 6.4.2004, emergeva con chiarezza che l’unica circostanza che avrebbe legittimato la visione dei filmati era quella della sussistenza di contestazioni ai tavoli da gioco o alle attività connesse per cui non era consentita sul presupposto di irregolarità procedimentali e, addirittura, nel caso del 19 ottobre 2018, senza alcuna giustificazione, di talché essi filmati erano inutilizzabili ai fini disciplinari".
Nel respingere il ricorso, la Cassazione ricorda che "la Corte territoriale, attraverso un complessivo esame dell’accordo, avendo riguardo al tenore letterale del verbale di accordo (...) ha ritenuto che la volontà delle parti era nel senso che, in linea generale, le videoregistrazioni non potevano essere utilizzate per provare comportamenti disciplinarmente rilevanti a carico del lavoratore ma solo per trarne elementi 'a discarico' di quest’ultimo, mentre, qualora dall’istruttoria svolta dal datore di lavoro fossero emersi 'casi di particolare rilevanza o gravità' le predette risultanze potevano essere utilizzate anche 'a carico' del lavoratore, ovverossia per contestare e provare fatti disciplinarmente rilevanti".
Nel ricorrere in Cassazione, osserva il tribunale, l'ex dipendente "si è limitata a fornire, a fronte di una plausibile interpretazione dell’accordo, una diversa esegesi dello stesso, lamentando una operazione lacunosa ed atomistica adottata dalla Corte di merito ma senza specificare quali fossero, in concreto, le violazioni delle regole di ermeneutica negoziale sotto il profilo letterale e logico-sistematico in ipotesi commesse dai giudici di appello.
Ciò a fronte, si ribadisce, di una interpretazione ragionevole e plausibile dell’accordo che trovava, secondo l’assunto dei giudici di seconde cure, una sua ratio nella giustificazione dell’utilizzo, a fini disciplinari, delle riprese video - in un contesto, peraltro, in cui non sono stati prospettati problemi sulla installazione dei relativi impianti- solo nei casi di particolare rilevanza e gravità nonché a seguito di una istruttoria da parte della Direzione Giochi, così escludendo ogni margine di arbitrarietà e dando una lettura equilibrata delle disposizioni".