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Isi e Casinò, i nodi vengono alla commissione

09 settembre 2024 - 09:30

La commissione Finanze del Senato esamina lo schema di decreto legislativo sui tributi minori, ecco le questioni da affrontare sul tema Isi e casinò.

Scritto da Mauro Natta
Foto di Jonathan Cooper su Unsplash

Foto di Jonathan Cooper su Unsplash

Ho letto che la commissione Finanze del Senato il giorno 11 settembre riprende l’esame dello schema di decreto legislativo recante testo unico dei tributi erariali minori su cui dovrà esprimere il parere.
Lo schema di decreto si occupa anche dell’imposta sugli intrattenimenti e  comprende, all’allegato 2, le case da gioco. La relatrice del progetto in parola  è la senatrice Francesca Tubetti.

È mia intenzione anticipare alcuni degli argomenti, che seguono:
1) si parla degli impiegati tecnici delle case da gioco (croupier);
2) le vincite al gioco conseguite nei casinò italiani e della Comunità europea sono esenti da tassazione Irpef;
3)  la mancia è, indiscutibilmente, una parte della vincita e la più piccola;
4) la parte di mance che gli impiegati tecnici devolvono alla gestione costituisce un conforto ai costi di produzione;
5) detto conforto concorre a produrre un maggior risultato utile alla gestione e, conseguentemente, la possibilità di incrementare quanto deriva, dalla gestione della casa da gioco, all’ente pubblico periferico autorizzato ad avere sul proprio territorio una casa da gioco.

È noto che le case da gioco hanno subito il cambiamento del mercato per diverse motivazioni, tra queste la concorrenza dell’online e delle case da gioco d’oltre confine, la mutata possibilità economica, il divieto di pubblicità ed altro ancora.
L’attuale situazione vede le gestioni versare al concedente una percentuale sui proventi di gioco alla 10 della Regione Valle d’Aosta al 25 percento  al Comune di Venezia passando per l’attuale 20 al Comune di Sanremo, non conosco la situazione a Campione d’Italia.
L’aliquota, di cui al citato allegato 2, prevede il 10 percento sui proventi di gioco; con la presente esposizione e la possibilità di fornire a brevissimo termine qualche integrazione, se utile, desidero esprimere un ringraziamento anticipato alla commissione per una possibile soluzione della problematica in discorso.

Una mi permetto sommessamente di indicarla, come ripeto, quale eventualità la pongo alla attenzione competenza dei commissari incaricati e della relatrice: la non tassabilità delle mance degli impiegati tecnici (di cui al Dm n. 314/97. art.3 lett. i). Dalla non dovuta contribuzione anche ai fini pensionistici, ne conseguirebbe  il relativo risparmio  da parte dei gestori e dei dipendenti che potrebbero, questi ultimi, accedere alla integrazione pensionistica privata.
Mi pare abbastanza logico trattare in modo differente la parte principale della vincita ottenuta dal giocatore e quella minore della quale beneficia il croupier.

Tra l’altro appare logico ritenere che sarebbe assurdo, a mio parere, che una voce di entrata fosse fiscale per la parte minore in fase di ingresso nel patrimonio del croupier e non lo fosse, invece, per la parte maggiore, la vincita a favore del giocatore.
Non è la prima volta che il Parlamento interviene a favore delle entrate tributarie che derivano agli enti pubblici periferici dalle case da gioco autorizzate sul loro territorio a datare dal 1927.

Desidero rammentare che la vincita al gioco realizzata nei casinò autorizzati è esente da imposizione in capo al giocatore vincente.  L’art. 10 ter della legge n. 30 del 28 febbraio 1997 che provvede alla conversione in legge finanziaria per il 1997, L. 31 dicembre 1996, n. 669, recita:  all’art. 30 del decreto del presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, dopo il sesto comma era aggiunto il seguente:
“La ritenuta sulle vincite corrisposte dalle case da gioco autorizzate è compresa nell’imposta sugli spettacoli di cui all’art. 3 del decreto del presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 640”.

Non si potrebbe disconoscere che non tassabilità delle mance è la logica e sostenibile soluzione per ridurre drasticamente il costo del lavoro del personale tecnico. 

Allo stesso modo è possibile sostenere che, così operando, alla diminuzione dei costi di produzione farebbe contro un incremento delle entrate tributarie a favore del concedente Ente pubblico periferico.
La mancia è una parte della vincita e la sentenza n. 1776 del 18 maggio 1976, Sezione Lavoro della Suprema Corte di Cassazione, a proposito della mancia al croupier, recita: “Il sistema mancia è retto da un uso normativo – si ricava dall’indirizzo consolidato della giurisprudenza dal 1954 (Cassazione, 9 marzo 1954, n. 672, Ndr) – tanto consolidato quanto idoneo ad assumere un ruolo di fonte secondaria del regime giuridico proprio del particolare rapporto che obbliga il giocatore vincente ad elargire una parte della vincita al croupier e questi a ripartirla con gli altri addetti e il gestore...”.

Mi permetto di aggiungere, col pericolo di apparire noioso ma il contenuto dovrebbe essere comprensibile a tutti i lettori: la mancia costituisce una forma di esecuzione di una obbligazione naturale ed il contratto di lavoro rappresenta esclusivamente il relativo regolamento di riparto. 

Rifacendomi all’uso normativo richiamato e tenuto conto che la mancia è una parte della vincita, pare logico sostenere che l’uso normativo che regola la materia prevede per ogni singola vincita il riparto in due parti: quella maggiore per il giocatore, quella minore per il croupier. An e quantum della mancia sono incerti: l’attribuzione patrimoniale può difettare o mancare senza che ciò costituisca titolo di pretese da parte dell’impiegato.

Ed ancora: il primo beneficiario della mancia è, indiscutibilmente, il croupier, il gestore non ha titolo originario a parte della vincita (cioè la mancia); d’altro canto sarebbe paradossale che partecipi ad una parte della vincita chi, perdendo, la deve finanziare: il gestore. 

Il fatto che quest’ultimo soggetto partecipi ad una parte delle mance, fondato su un patto o un accordo di devoluzione con il quale i lavoratori consentono al datore di lavoro di sottrarre parte di quanto elargito da terzi non pare giustificare un diritto originario del gestore ma, piuttosto, una forma di prelievo forzoso (stante la natura giuridica delle entrate) anche se non è stato regolato il presupposto, la base imponibile, ecc.

La natura giuridica rammentata discende dal dettato della legge n. 488/86, conversione in legge del Dl n. 318/86, art. 19, mi pare, andando a memoria.
 

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