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Casinò tra scelte politiche e piani industriali, in mezzo la variabile Isi

18 settembre 2024 - 09:02

Fondamentale per i casinò sia i piani industriali che le scelte politiche fatte dalle loro proprietà, una disamina sul ruolo svolto dall'Isi.

Foto di Nick Fewings su Unsplash

Probabilmente c’è chi aveva ragione a pensare che il governo di uno Stato, di una Regione, di un Comune o, aggiungo, di una Azienda  dovrebbe essere affidato a una minoranza che, come segno distintivo abbia la competenza che mi illudevo di trovare anche sul tema Isi.
Altrettanto la maggioranza che viene evidenziata con “tutti gli altri”, ovvero chi o coloro che non comprendono per intero il rilevante e/o l’essenziale, insomma mancando di competenza, non dovrebbe governare.
Operando col tenere in considerazione opinioni e, ancor peggio, gli interessi personali o di parte, il governare diverrebbe difficoltoso e non già a favore della comunità.
Se nella politica, intesa come scelta, le persone sono preoccupate per il proprio bene e interesse avendo una propria idea e opinione su cosa sia la giustizia sarà difficile e complicato discernere tra giusto e ingiusto.
Si corre il rischio di ridurre la politica ad un semplice modo di gestire interessi che non si possono considerare erga omnes ma, purtroppo, di pochi e, personalmente, non mi pare equo.
In buona sostanza un'aristocrazia nel senso di governo di pochi o dei migliori sulla base del merito, delle competenze e della capacità sarebbe auspicabile. Purtroppo mi pare, purtroppo, una speranza  lontana.

Mi scuso per l’intermezzo o tentativo filosofico, forse antiche reminiscenze scolastiche, di reintrodurre   il concetto della preponderanza di competenza su appartenenza; la prima di pochi (della minoranza), la seconda, spesso e volentieri dei molti altri. In questo modo la penso e non intendo cambiare a meno della dimostrazione del contrario.
Torno all’argomento per me più importante: il piano industriale dei casinò che ha la scopo di salvaguardare l’azienda tramite il profitto e l’occupazione; almeno questi mi sembrano gli obiettivi da raggiungere.

Finalmente se ne parlerà e, da quanto ho potuto apprendere dalla  lettura dell’ordine del giorno, nella riunione del Consiglio regionale della Valle d'Aosta che inizia oggi 18 settembre, dove la discussione sullo studio sul Casinò di St. Vincent della Società E&Y avrà inizio.
Ed è proprio il piano di impresa quinquennale che mi spinge a scrivere ancora una volta dell’imposta sugli intrattenimenti che potrebbe riguardare il citato argomento all’ordine del giorno del Consiglio.
Certamente in tutti gli esempi che ho portato all’attenzione dei lettori ho dimostrato o cercato di dimostrare che l’Isi, anche se indirettamente, incide negativamente sulle entrate che dal casinò derivano all’ente pubblico titolare dell’autorizzazione.
L’occasione che si presenta il 18 settembre, cioè la scelta inerente il futuro gestionale della casa da gioco di Saint Vincent, si presta benissimo a dimostrare quanto già affermato in tema di entrate tributarie.

Prendiamo ad esempio il bilancio della Cava Spa al 31 dicembre 2023, e per la precisione il conto economico che presenta un utile d’esercizio, al netto delle imposte. di 15.219.127 euro.
Andando a visionare l’allegato “Nota integrativa al conto economico” precisamente a pagina 47 troviamo: In particolare, gli introiti di gioco, regolati dal rapporto di concessione esistente con la Regione Autonoma Valle d’Aosta ai sensi della legge regionale n. 36 del 30 novembre 2001, già al netto della quota di spettanza della Regione (10 percento) sono i seguenti, ovvero 62.485.097 euro. Così suddivisi: giochi francesi 14.662.104, americani  13.476.598, slot machine 34.346.395.

Ritengo, al di là di ogni dubbio che un gestore privato, se fosse in corso in applicazione l’imposta sugli intrattenimenti, ne avrebbe tenuto conto in quanto il proprio utile ne avrebbe risentito e, nel caso esemplificato, l’importo da corrispondere per Isi, avrebbe consentito una ricaduta sul quantum (inteso quale percentuale sui proventi) da versare al concedente.
Non credo si possa negare l’evidenza che nel caso di gestione pubblica, come l’attuale, l’utile spetta al concedente in quanto azionista, invece, se la gestione fosse privata l’utile sarebbe senz’altro inferiore.

In buona sostanza si potrebbe o dovrebbe pensare che l’eventuale gestore privato, a fronte di un maggiore costo della produzione, ne terrà debito conto.
Desidero, innanzi tutto, chiarire che la presente esposizione non è assolutamente un'indicazione di preferenza personale per una o l’altra tipologia gestionale anche perché un giudizio lo si potrà esprimere, eventualmente, solo tra un pochino di tempo.
Neppure con l’esternazione delle mie convinzioni, probabilmente sono un sogno o una fantasticheria ma, in ultima analisi una speranza. Infatti, forse motivato anche dalla lunga esperienza lavorativa con una conduzione in concessione ad una società a capitale privato, dal 1959 al giugno 1994, sono riuscito a meglio comprenderla di quella attuale dal luglio 1994 alla fine del 2000. Ne consegue che parlo più della prima tipologia che della seconda e mi pare del tutto naturale.

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