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Il Gioco 7.0, l'esempio dei casinò tribali

19 agosto 2023 - 08:54

Parlando di gioco e turismo si dovrebbe prendere come riferimento il buon esempio dei casinò tribali degli Stati Uniti come esempio di sostenibilità e sviluppo

@ Abbasi786786 - Own work su Wikipedia

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Parlando di gioco ci piace sempre - ed è importante che lo facciamo - indicare l’impatto che il nostro settore, se regolato, ha sulle economie dei Paesi, sia a livello nazionale che a livello locale. Il connubio tra gioco e turismo, così come evidenziato nel numero estivo della rivista Gioco News, è forse l’espressione più ovvia e visibile di questo impatto, con la creazione di posti lavoro, un’offerta turistica che attrae visite e con contributi a livello di imposte ed entrate erariali. È il modello del gioco terrestre, quando ben sviluppato e diffuso. 

Ma c’è una parte del settore che l’ha adottato a un livello ancora più avanzato, facendolo crescere fino a generare 48,4 miliardi all’anno. Parlo del gioco dei nativi americani degli Stati Uniti che produce quasi la metà del Ggr (gaming gross revenues, ovvero i ricavi lordi da gioco) del Paese, ma è così poco conosciuto fuori del continente dell’America del nord (e addirittura anche al suo interno). 

Facendo del gioco la base dell’economia di intere nazioni, elevandole dalla povertà - in molti casi anche  estrema - e che continua a finanziare i servizi per intere comunità di tribù indiane, quello indigeno è un ottimo esempio della forza positiva del gioco e dell’approccio a lungo termine che prende in considerazione non solo il reddito immediato, ma anche gli impatti delle decisioni attuali sul futuro. Infatti, quelli che hanno familiarità con il gioco indigeno e hanno collaborato con le comunità indigene, conoscono bene il concetto del gioco di sette generazioni. Si tratta cioè di dover pensare alle sette generazioni future, invece del solo presente: un approccio sviluppato come risultato degli anni di abuso e di negligenza da parte dello Stato americano. 

Ci sono 547 comunità indigene riconosciute dallo Stato federale americano come nazioni sovrane, tra cui 250 operano una forma di gioco, con 515 stabilimenti che insieme generano 44 percento del Ggr degli Usa: una cifra ammirevole per un settore che esiste solo dal 1988, che è l’anno dell'attuazione dell’Igra (Indian Gaming Regulatory Act) che ha stabilito le regole per il gioco “amerindiano”. 
Come nazioni sovrane, le comunità indigene hanno diritto all’autodeterminazione, il che significa che si assumono la responsibilità per il benessere dei loro membri, inclusi i servizi di sanità, protezione, infrastruttura, abitazione e preservazione culturale. Questa rubrica non è un posto per scrivere ampiamente sulla storia dell’abuso, del reinsediamento, della politica paternalista e addirittura del genocidio che ne fanno parte, ma è importante capire che è proprio questa storia a condizionare il presente e il futuro del gioco indigeno. 

Prima del 1988 quando il gioco amerindiano è stato autorizzato, le tribù indigene, vivendo al solito nelle aree remote che le erano state allocate dallo Stato statunitense dopo averli espulsi dalle loro originali zone più all’est del Paese, riuscivano a stento a finanziare le loro riserve e trarne un reddito. Infatti, molte comunità indigene esistevano all’estremo della povertà e della società, marginalizzate sia fisicamente, nelle zone remote, che civicamente, come minoranza etnica. Per molti, se non per la maggioranza, il gioco ha trasformato le loro vite, offrendo una fonte di reddito stabile e sostenibile, che infatti ha cominciato a finanziare i servizi di base per tutta la comunità. Per esempio, la nazione di Pechanga Band of Luiseno Indians ha usato il reddito di gioco per costruire un ospedale, un liceo e una biblioteca. 

Secondo i dati della Commissione nazionale del gioco amerindiano (National Indian Gaming Commission) che è il regolatore al livello federale (che però non regola tanto le attività di nazioni sovrane che operano nel gaming quanto piuttosto l’integrità del movimento fondi e dei contratti di cooperazione), la povertà nelle riserve indigene che operano nel gioco è del 25 percento comparata al 35 percento di quelle senza gioco, mentre le percentuali di disoccupazione sono di 10 percento contro il 14 percento. 

Non ci stupisce allora che le nazioni indigene vogliano proteggere il gioco, così importante fonte della loro sopravvivenza e autodeterminazione. E  quindi ogni cambiamento, anche in nome del progresso tecnologico, deve essere ben analizzato, dal punto di vista, dunque, di un futuro immediato, ma anche di quello più remoto di sette generazioni. Mentre le organizzazioni private oppure quelle quotate hanno un gruppo relativamente piccolo di proprietari e azionisti a rispondere, nel  gioco amerindiano si  tratta di tutte le comunità e delle future generazioni. Si tratta di molto di più che di solo turismo. 

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