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Casinò Campione, Tribunale Como: 'Inefficaci 46 licenziamenti, risarcimenti per 12 mensilità'

13 dicembre 2022 - 10:32

Il Tribunale di Como dichiara inefficaci 46 licenziamenti di ex dipendenti del Casinò Campione d'Italia, disponendo per ciascuno di essi un risarcimento consistente in 12 mensilità.

Photo by Conny Schneider on Unsplash

Con un'ordinanza, il Tribunale di Como ha dichiarato, accogliendo in parte il ricorso, "l'inefficacia dei licenziamenti per violazione della procedura di cui all'articolo 4 l. 223/1991" di 46 ex dipendenti del Casinò Campione d'Italia, dichiarando conseguentemente "il rapporto di lavoro dei ricorrenti risolto alla data del licenziamento" e condannando "il Casinò di Campione Spa al pagamento dell'indennità risarcitoria di dodici mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, spettante a ciascuno dei ricorrenti, con rivalutazione monetaria e interessi legali dal licenziamento al saldo".
Questa la decisione del giudice Giovanni Luca Ortore, in attesa del 20 dicembre, quando ci sarà una nuova udienza per discutere il ricorso presentato da un altro centinaio di dipendenti licenziati al momento del fallimento, era il 2018, del Casinò.

Il giudice, in sostanza, ha dichiarato risolti i contratti di lavoro degli ex dipendenti che, avevano impugnato i licenziamenti collettivi sostenendo che non fossero state rispettate le modalità previste dalla legge 223/1991, come l'omesso invio della comunicazione finale contenente l'elenco dei lavoratori licenziati e la specificazione delle modalità di applicazione dei criteri di scelta concordati. I ricorrenti contestavano anche "la mancanza dei requisiti sostanziali stabiliti dalla l. 223/1991, in quanto la comunicazione di avvio della procedura, effettuata dal fallimento ai sensi dell'art. 4 co 2 e 3 l. cit., era palesemente viziata, stante la sua incompletezza insanabile, tale da implicare l'irregolarità dell'intera procedura, in ordine all’esclusione dell’esercizio provvisorio, sul presupposto che la convenzione tra Comune e il Casinò di Campione prevedeva l’automatica decadenza della licenza in caso di fallimento".

LE MOTIVAZIONI DEL GIUDICE - Nelle premesse all'ordinanza, il giudice sottolinea che "deve ritenersi infondata" la "censura dei ricorrenti sulla mancata indicazione di misure alternative al licenziamento", avendo "i curatori illustrato ampiamente le ragioni per cui ritenevano necessario che la società - gravata di ingenti debiti e operativa in un settore commerciale del tutto particolare, che precludeva l’immediato subentro di un soggetto diverso - terminasse la propria attività, per evitare un incremento del dissesto, in quanto i futuri costi (certi) non sarebbero stati sostenibili".
Il giudice evidenzia inoltre che è "pacifico che la comunicazione di chiusura della procedura, con l’elenco dei lavoratori licenziati, sia stata inviata dai curatori solo alla Provincia di Como e non anche alle organizzazioni sindacali.

Il fallimento ha ritenuto superflua la comunicazione di tale elenco alle organizzazioni sindacali. Infatti, avendo tale elenco lo scopo di consentire il tempestivo controllo delle modalità di applicazione dei criteri di scelta dei lavoratori da licenziare - cioè in sostanza, di permettere al lavoratore di verificare perché proprio lui e non anche un altro, sia stato licenziato - poichè, cessata l’attività, erano stati licenziati tutti i dipendenti, non erano neppure previsti dei criteri per la loro selezione, di cui occorreva verificare la corretta applicazione. La tesi del fallimento non può ritenersi corretta".
Come sottolinea Ortore, infatti, "lo stesso art. 24 co 2 l. 223/1991, che estende alle imprese che intendono cessare l’attività anche le disposizioni relative alle comunicazioni relative alla procedura di mobilità, fornisce un dato testuale insuperabile, per cui deve ritenersi irrilevante, ai fini dell’invio della comunicazione finale, la cessazione dell’attività aziendale".

A tale proposito, più volte la Cassazione ha ritenuto "inderogabile l’invio della comunicazione finale alle organizzazioni sindacali, pure nel caso di chiusura dell’attività con il licenziamento di tutto il personale, in cui è prevista l’applicazione di un solo criterio di scelta (cioè le esigenze tecnico-produttive), anche soltanto per consentire loro il controllo dell’effettivo rispetto del programma indicato nella comunicazione iniziale di apertura della procedura, cioè la risoluzione di tutti i rapporti di lavoro".
Pertanto, "i licenziamenti devono (...) dichiararsi inefficaci" e "per quanto concerne le conseguenze sanzionatorie, trova applicazione la disciplina dell’art 18 co 5, a cui rinvia il co 7, terzo periodo, l. 300/1970".
Il giudice sottolinea tuttavia che "diversamente da quanto sostenuto dal fallimento, non è prevista la deduzione del cd. 'aliunde perceptum', contemplata solo nel precedente co 4 in riferimento all’indennità sostitutiva della retribuzione perduta dal lavoratore fino alla reintegra" e che "l’importo spettante a ciascun lavoratore dev’essere determinato in quello minimo, di dodici mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, in considerazione del criterio, ritenuto assorbente, 'del comportamento e delle condizioni delle parti', in quanto il fallimento ha effettivamente licenziato tutto il personale alle dipendenze della società fallita, rispettando così il proposito indicato nella comunicazione iniziale di avvio della procedura, per cui in sostanza, nessun pregiudizio hanno in concreto subito i ricorrenti dal mancato invio della comunicazione finale alle organizzazioni sindacali".

C'è da ricordare che il licenziamento collettivo era stato intimato ai dipendenti dai curatori e che solo dopo la dichiarazione della nullità della senenza di fallimento del casinò di campione Spa, il giudizi, che era stato sospeso, era stato "riassunto nei confronti della società, che si costituiva in giudizio".
Nell'udienza di settembre, "veniva disposta la separazione delle domande svolte da 46 dei ricorrenti che, diversamente dagli altri, chiedevano la loro decisione, non avendo interesse a concludere una conciliazione con la società resistente".
I 46 dipendenti, infatti, non avevano sottoscritto alcun accordo in sede sindacale con la società di gestione (tornata in bonis dopo l'annullamento definitivo della sentenza di fallimento emessa dal tribunale di Como) oppure che avevano sottoscritto un accordo con la sigla “IDsA” (impugnante disponibile solo all’assunzione) la cui efficacia è venuta meno per mancato avveramento della condizione della loro assunzione presso la medesima società in esito alla riapertura della Casa da gioco a gennaio del corrente anno, dunque che non figurano tra i 174 che sono stati assunti o riassunti.

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