E' arrivato il momento di riconoscere diritti a chi crea valore nel nostro paese. Il riferimento è, una volta tanto, alle imprese del gioco pubblico. E a pronunciare queste (sacrosante) parole – ipse dixit - è, finalmente, un ministro in carica: si tratta di Andrea Abodi, titolare del dicastero dello sport nel governo di Giorgia Meloni, che come abbiamo riportanto nelle scorse ore è tornato a parlare del divieto di pubblicità e di sponsorizzazione sportiva da parte delle società di gioco ritenendolo "un tema delicato e che va discusso, con un'ampia concertazione e passando per il necessario percorso parlamentare. Ci sono sensibilità diverse che vanno rispettate".
Non è la prima volta, a dire il vero, che il ministro dello Sport interviene su questa materia, dopo aver (addirittura) tentato di far passare una proposta emendativa - già al primo intervento legislativo del nuovo governo, ovvero in legge di Bilancio - per superare l'assurdo e insostenibile “totally adv ban” vigente in Italia, divenuto così famoso in tutto il mondo, dopo l'attuazione delle disposizioni contenute nell'ormai antico decreto Dignità, apparovato dal governo “Conte 1” nel 2018. Anche se in quella prima occasione il tentativo di Abodi non è andato a buon fine, il ministro ha continuato a tenere caldo il tema, a dimostrazione del fatto che questa anomalia tipicamente italiana del divieto totale di pubblicità del gioco, rappresenta una sorta di crimine più che altro nei confronti dello sport, che è proprio ciò che intende tutelare il ministro. Senza contare, poi, che l'impatto maggiore di tale restrizioni così rigida, si ha in termini di sicurezza e ordine pubblico, tenendo presente che questa scomparsa dai riflettori dei marchi di gioco legale rende l'offerta di gioco di Stato indistinguibile rispetto a quella illegale, ancora molto florida e presente, anche (e soprattutto) in Italia.
Al ministro Abodi, tuttavia, ciò che più sta a cuore è recuperare nuovi (anzi, a dire il vero vecchi) fondi da destinare al calcio e più in particolare agli sport minori, che hanno maggiore bisogno di fonti di reddito esterne, che in passato venivano garantite proprio dalle sponsorizzazioni dei bookmaker o dei giochi online. Tuttavia, nel suo ultimo intervento alla Camera dedicato a questa materia, in risposta all'interrogazione presentata in commissione Cultura dalla deputata di Avs Elisabetta Piccolotti, Abodi ha voluto sottolineare anche qualcosa in più rispetto al solo mancato supporto allo sport. Oltre a evidenziare che "Il nostro Paese è l’unico in Europa che ha questo tipo di restrizioni”, Abodi ha affermato: “Credo che la cosa fondamentale sia un sistematico contrasto al gioco illegale o irregolare che alimenta l’economia criminale. Ritengo che quello che è oggetto di concessioni pubbliche e che dà una relativa soddisfazione, uso questo termine forse impropriamente, alle finanze pubbliche deve essere promosso e tutelato”. Evidenziando anche che "la comunicazione consente di responsabilizzare, valorizzare la tracciabiità delle risorse finanziarie, e deve dare il senso del limite, che deve essere regolato, di ciò che può scommettere una persona". Ribadendo quindi delle precise prerogative dello Stato nella sua azione di tutela dell'ordine pubblico e della sicurezza esercitate (anche) attraverso il presidio e mantenimento di una rete di gioco legale. Finendo col ricordare, per giunta, quello che è stato fatto da Adm sul gioco legale nei primi anni 2000 “che servì non tanto a incrementare le scommesse quanto a far distinguere attraverso una simbologia i luoghi fisici o virtuali nei quali era possibile scommettere legalmente rispetto a quelli che invece offrivano servizi illegali che alimentano l’economia criminale".
Abodi ha quindi assicurato che sarà sempre impegnato, come ministro, in questa battaglia, evidenziando al il tema competitivo, visto che “Tutti i club sportivi che in Italia non possono beneficiare di questa opportunità dal punto di vista dei ricavi in molti casi si confrontano con concorrenti europei che hanno pieno accesso alle risorse derivanti da questo settore”.
Che sia quindi arrivato il momento giusto per superare il tanto discusso decreto Dignità anche su questo punto? Secondo il titolare dello sport, “Questo non è un atto di disconoscimento del Decreto Dignità, ma è un contributo a ripensare al modello in modo che permanga la tutela al consumatore e il presidio sulla ludopatia, ma vengano riconosciuti anche i diritti a chi acquisisce una concessione e a chi organizza un evento sul quale si crea valore”.
Parole sante, verrebbe da dire. Talmente chiare, sensate evidenti, che – siamo certi – stavolta non potranno cadere nel vuoto. Anche se il rischio, che tutti conoscono bene, è che possano essere ascoltate dal fronte opposto, con gli abolizionisti che non perdono mai occasione per strumentalizzare ogni posizione riferita al mercato del gioco pubblico che miri a tutelare la rete del gioco legale, continuando a esacerbare il conflitto interno al nostro paese che vede lo Stato combattere con pezzi dello stesso Stato, attorno al tema del gioco. Anche questa volta, non c'è dubbio, ci sarà senz'altro chi avrà da ridire, nel ritoccare le disposizioni del Dignità (si accettano scommesse), nonostante l'evidente assurdità e anomalia rappresentata dal divieto totale di pubblicità e gli altrettanto palesi danni provocati al sistema-paese, che il ministro Abodi ha fatto bene a puntualizzare. Mettendoci la faccia, come si usa dire in questi casi, visto che la sua è ancora spendibile, e a prova di speculazioni. Anche se la strada per un'inversione di rotta, sui giochi, è ancora decisamente in salita, questo tipo di contributo e la riflessione generale che dovrebbe scaturire, potrà essere sicuramente utile per il percorso di riforma generale del comparto che l'esecutivo ha voluto avviare attraverso la delega chiesta al Parlamento per legiferare anche sul gioco. Provando a riordinare il mercato, insieme alla idee della politica sul tema.