Come può una banca (e come può un governo)
Il “derisking” applicato da alcune banche contro il settore del gioco non può essere giustificato: a dirlo (adesso) è il governo. Finalmente.
L’atteggiamento degli istituti bancari adottato nei confronti delle imprese del gioco è incoerente e da risanare. A dirlo è il Ministero dell’Economia, attraverso il sottosegretario di competenza, Federico Freni, che ha la delega proprio su giochi, oltre a occuparsi anche di questioni bancarie. Parole sante, diranno gli addetti ai lavori, che ormai quotidianamente si scontrano, a tutti i livelli, con questo tipo di problematica, sentendosi rifiutare da alcuni istituti la concessione di crediti, se non addirittura vedendosi chiudere i propri conti correnti, in virtù di principi etici non ben definiti, e di certo non giustificati, come si può facilmente capire dalla posizione del Mef. Una lettura, quella fornita dal governo, che non apparirà certo nuova ai nostri lettori, i quali ne avevano già potuto apprezzare i contenuti in un ampio speciale che avevamo dedicato alla materia e pubblicato su queste pagine (e su quelle della rivista cartacea) già a novembre e febbraio scorsi, a cura di un esperto in materia come l’avvocato Geronimo Cardia.
Solo che adesso, vedere quegli stessi principi messi nero su bianco da parte dell’esecutivo e dal Mef, assume un significato decisamente diverso, aprendo la strada alla soluzione che proprio in quella occasione avevamo invocato e non solo indicato (si legga l’articolo: “Speciale gioco e banche: il problema e la soluzione” di novembre 2021 per capire). “La normativa antiriciclaggio - scrive il Mef, proprio come era stato qui anticipato - riconosce che le banche possono decidere di non stabilire o terminare relazioni d’affari in considerazione dell’elevato rischio di riciclaggio. Secondo il quadro normativo europeo, tuttavia, tale decisione potrebbe non essere giustificata quando viene fatta in modo collettivo nei confronti di un’intera categoria di imprese senza prendere in considerazione il profilo di rischio dei singoli clienti, che potrebbe variare significativamente nell’ambito della medesima categoria”. Tale approccio, si legge ancora “non sarebbe coerente con l’approccio basato sul rischio stabilito nella normativa unionale e domestica. A tal fine sono state avviate interlocuzioni con la Banca d’Italia e l’Unità di informazione finanziaria per l’Italia per verificare se il fenomeno sussiste sul territorio italiano, nonché le eventuali categorie di professionisti maggiormente colpite, al fine di valutarne l’effettiva portata e determinare le opzioni di intervento più efficaci”.
Per questo il Governo – rispondendo all’interrogazione presentata da più parlamentari – dice di poter valutare tutte le iniziative compatibili con l’attuale sistema regolatorio per aiutare le piccole e medie imprese del settore a garantire la corretta gestione dei flussi di cassa, anche sollecitando un intervento in tal senso da parte della Banca d’Italia nei confronti delle imprese del circuito bancario. Non solo. “Tale intervento sarà volto ad individuare misure di prosecuzione dell’attuale sistema in vista dell’adozione, con le nuove convenzioni di concessione, di una disciplina che risponda ai molteplici interessi presenti, al fine di conseguire un loro equo bilanciamento”. Una promessa che suona come qualcosa di più di una rassicurazione, visto che con questo passaggio parlamentare viene definitivamente messo agli atti il problema e l’esigenza della filiera, che diventa così una “caso politico” e non solo una mera lamentela di qualche operatore.
Del resto, la materia era stata più volte denunciata dagli addetti ai lavori, anche attraverso le associazioni di categoria, e portata anche in parlamento, già prima di quest’ultima interrogazione, attraverso la commissione di inchiesta sulle banche. Oltre ad aver ricevuto anche l’attenzione dell’Agenzia delle dogane e dei Monopoli, che pur avendo competenza limitata sul trema, e riuscita comunque a stimolarne una trattazione, come ricordato dal Mef.
Si tratta però soltanto di un primo, piccolo passo, che potrà tuttavia sensibilizzare gli istituti verso l’adozione di un approccio diverso, che possa essere coerente rispetto all’ordinamento nazionale ma anche nei confronti delle direttive comunitarie, visto che proprio dall’Europa, forse, deriva il primo “misunderstanding” che ha poi portato alle successive derive ed enfatizzazioni, a causa di norme vetuste e ormai superate dai fatti, nella forma e pure nella sostanza. Ed è, forse, proprio dall’Europa che potrebbe (dovrebbe?) arrivare un’indicazione più precisa e tecnicamente risolutiva, visto che il tema ha superato i confini nazionali ed è finito con l’invadere anche altri paesi, coerente con le regole del mercato globale. Perché come le aziende, banche comprese, oggi presentano profili e strutture sempre più internazionali, anche le cattive abitudini che talvolta ne caratterizzano alcune attività rischiano di essere esportate insieme ai modelli di business e a quelli gestionali. Lo abbiamo visto in Belgio, dove gli operatori del gioco stanno vivendo situazioni simili nei rapporti con le banche, sia pure in termini meno espliciti, ma comunque gravi e altrettanto deleteri. E chissà se questa volta, l’Italia, non possa riuscire a dare il buon esempio andando a sovvertire la propria posizione e proponendo una “best practice” fornendo una via di uscita anche agli altri. Magari anche stimolando il legislatore europeo.
Perché i panni sporchi si lavano in casa, ma vengono poi stesi al sole, in modo che tutti ne possano ammirare i buoni risultati. Ma solo se il trattamento è stato efficace, cioè in grado rimuovere tutte le macchie. E le divise degli operatori del gioco, di macchie ne hanno viste fin troppe: soprattutto quelle di fango, le più difficili da rimuovere.