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Da Roma all'Emilia: così lo Stato uccide se stesso

22 gennaio 2024 - 13:22

Mentre va in scena la polemica a distanza, tra il governo e la Regione Emilia, per la riscostruzione delle zone alluvionate, sugli stessi territori si amplica anche il conflitto sulla regolamentazione del gioco: con lo Stato che compromette sé stesso.

Immagine: Mohamed Mahmoud Hassan, Licenza - CC0 Public Domain

Non c'è peggiore nemico, per lo Stato italiano, che lo Stato stesso. Non c'è modo migliore che ricorrere al parodosso per spiegare, in sintesi, il corto circuito che caratterizza l'attuale impianto di gestione e regolamentazione del gioco pubblico, che vede lo Stato, da un lato, imporre la Riserva di legge sul settore, rivendicandone dunque la centralità; mentre dall'altro lo stesso Stato, attraverso le sue diramazioni territoriali, contrasta la sua visione pretendendo di poter trattare in maniera locale la materia. Ciò, peraltro, con la complicità – ancora più assurda – dei vari governi che si sono succeduti negli ultimi dodici anni, che non si sono mai opposti di fronte a tale scempio e a un tale corto circuito legislativo. Una storia che, diversi anni addietro, avevamo battezzato come “Questione territoriale”: una definizione talmente (tristemente) azzeccata, da essere diventata rapidamente di uso comune, nonché di trattazione ricorrente, visto che la vicenda continua a tenere banco nelle aule dei tribunali dell'intera Penisola dal lontano 2011, quando tutto aveva inizio, dalla Provincia di Bolzano. Il primo territorio a dichiarare guerra allo Stato a cui appartiane, puntando il dito contro il sistema del gioco pubblico: ma se nel caso specifico si poteva anche giustificare - finanche comprendere – la “battaglia” condotta dal territorio in questione, tenendo conto dello statuto speciale che lo caratterizza e della parziale autonomia ad esso concessa, non si è mai riusciti davvero a capire fino in fondo come si potesse arrivare alla situazione attuale, cioè quella del delirio collettivo e del proliferare di norme anti-gioco-di-stato, sull'intero territorio nazionale. Tenendo conto che a farne le spese, poi, sono le imprese che lavorano nel comparto, che quindi i singoli cittadini che le compongono, che hanno sede in quegli stessi territori in cui gli amministratori intervengono: portando così una serie di sciagure aggiuntive nelle comunità che si pretende di tutelare attraverso quella stessa. Sì, perché oltre al danno economico per quelle imprese, con la conseguente perdita di entrate e di occupazione che ne può derivare, ciò che abbiamo sempre evidenziato è anche il danno in termini di sicurezza sul territorio e di legalità che si viene a creare laddove viene espulsa l'offerta di gioco di Stato, che viene presto e facilmente rimpiazzata da quella illecita, spesso di matrice criminale. Non a caso, infatti, la maggior parte delle Regioni che erano intervenute in maniera diretta e spesso dura contro il gioco legale, ha dovuto fare marcia indietro ritrattando – in tutto o in parte – le leggi locali con le quali pretendeva di regolamentazione l'offerta, in barba alla Riserva di Legge. Tra tutte queste, tuttavia, a non aver mai mollato la presa, nonostante gli sfraceli sul territorio, è l'Emilia-Romagna, che dopo aver dichiarato guerra al gioco pubblico ha sempre portato avanti la sua linea, nonostante tutto. Anche di fronte all'evidente anomalia, ai palesi richi e alle ripetute difficoltà manifestate anche dai rappresentanti locali.
E così ancora oggi continua ad andare a scena quel triste teatrino che lega politica e giustizia (in questo caso, amministrativa) attorno al filo rosso del gioco: con i tribunali che continuano a girare attorno all'evidente – ma non dichiarato – effetto espulsivo della legge regionale, e i Comuni traccheggiano, quando non si incartano, in cerca di veder arrivare una possibile soluzione da parte del governo o del parlamento.
L'ultimo atto della triste vicenda si è avuto in questi giorni, su più fronti. Da un lato, con la pronuncia del Consiglio di Stato che nel censurare un “effetto sostanzialmente espulsivo”, trattando il distanziometro regionale dell’Emilia Romagna sul territorio di Riccione, cerca di attenuare la sua stessa pronuncia tornando a parlare di “effetto meramente marginalizzante”, nonostante le minime percentuali di insediamento registrate. Facendo anche una (inspiegabile) differenza tra le realtà preesistenti (pure importantissime) e le nuove installazioni, come spiega in maniera puntuale e dettagliata il legale Geronimo Cardia in un approfondimento pubblicato sul numero di febbraio della rivista Gioco News (da non perdere).
L'altra faccia della stessa medaglia (e dello stesso paradosso) arriva invece, negli stessi giorni, da Faenza, dove l'amministrazione comunale – come abbiamo dettagliatamente documentato - ha dato il via libera all'apertura di una nuova sala da gioco, dopo che in un primo momento sembrava essere stata bloccata dall'aggiornamento della mappatura dei luoghi sensibili approvato dal Consiglio dell'Unione Romagna Faentina con l'inserimento di una chiesa da poco riaperta al culto e di un parco pubblico. Nonostante questo, il Comune ha dunque deciso di andare avanti per la propria strada, concedendo l'autorizzazione al nuovo esercizio, per dieci anni, sollevando ovviamente gli strali dei consiglieri di opposizione e aprendo la strada, sicuramente, a qualche (nuovo e ulteriore) ricorso al tribunale amministrativo. Per una decisione che evidentemente è stata adottata in seguito a una presa di coscienza della situazione, palesemente assurda, in cui si è arrivati a seguito dell'attuazione delle norme regionali che impattano drasticamente sulla libertà di impresa, nonché contro il buonsenso. Anche se a stridere, e a far sorridere (amaramente) al tempo stesso, è la messa in scena nello stesso comune di uno spettacolo teatrale proprio sul gioco, intitolato “Partita aperta - Il modo più sicuro di ottenere nulla da qualcosa”, portato in scena dala Compagnia Anime Specchianti.  Un evento organizzato dal Servizio dipendenze patologiche dell’Ausl della Romagna Faentina in collaborazione con il Centro per le famiglie dell’Unione della Romagna Faentina. A sottolineare la pericolosità del gioco d'azzardo, cioè la stessa materia che si stava affrontando a livello comunale. Ma questo, diciamolo pure, non è neppure un vero e proprio parodosso, visto che il fatto di essere prudenti e consapevoli nei confronti del gioco con vincita in denaro, non significa affatto impedire qualunque tipo di insediamento di attività sul territorio. E in questo senso, dunque, la vicenda faentina, potrebbe apparire coerente, almeno nella posizione del Comune: sia a teatro che sull'albo pretorio. Al di là degli immanabili ricorsi. Mentre a continuare a rivelarsi paradossale è invece la legge dell'Emilia-Romagna nei confronti del settore. Ma siccome per capire i paradossi bisogna essere intelligenti, ma per seguirli bisogna essere stupidi, come diceva Pitigrilli (al secolo, Dino Segre), a stupire ancora di più di fronte a tutta questa scena è il governo: vale per l'attuale, come per tutti i precedenti, visto che nessuno, fino ad oggi, è riuscito (ha voluto?) risolvere l'annosa questione territoriale, nonostante tutto questo. E anche se l'esecutivo di Giorgia Meloni sembra essere il primo a voler prendere il toro per le corna e provare a risistemare le carte in tavola, attraverso la legge delega, ad oggi tutto rimane come prima, cioè in balìa degli eventi, e in mano quindi all'improvvisazione, nonché ai verdetti dei tribunali. Del resto, lo stesso governo, di paradossi ne sta delineando anche altri, pure sulla stessa materia: come quello che vede la presunta riforma del gioco online anticipare la riforma generale dell'intero comparto. Presunte pure quella. Mentre l'unica certezza, nel settore, rimane il caos.

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