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L’equilibrio territoriale e il ruolo della politica: dentro e fuori dai giochi

17 giugno 2024 - 12:26

Mentre il Parlamento italiano discute l’autonomia differenziata e quello europeo valuta i nuovi equilibri, la Questione territoriale diventa un tema sempre più centrale.

Scritto da Alessio Crisantemi
© Christophe Hautier / Unsplash

© Christophe Hautier / Unsplash

L’equilibrio territoriale è un fattore cruciale di equilibrio sociale. Anche per questa ragione la perdita di oltre 110mila attività negli ultimi dieci anni non è questione che riguarda il solo mondo del commercio, ma i suoi effetti interpellano, perché si riverberano su di essa, l’intera società”.

A sottolinearlo è stato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella all’assemblea della Confcommercio a Roma della scorsa settimana. Parole sante, verrebbe da dire. Anche pensando alla loro applicazione (più in piccolo) nei confronti del comparto del gioco pubblico, dal punto di vista regolamentare. Ricordando l’annoso fenomeno della Questione territoriale, che oltre a sconvolgere e compromettere il settore, limitandone fortemente la libertà di impresa (principio tutelato dalla nostra Costituzione di cui lo stesso presidente è garante), è finita col creare squilibri notevoli anche dal punto di vista della sicurezza e di tutela dell’ordine pubblico. Ecco perché il fenomeno delle differenti condizioni sul territorio denunciato da Mattarella interessa da vicino anche il gioco.

Nel suo discorso generale (dove il gioco non è stato ovviamente considerato in modo diretto) il capo dello Stato ha ricordato che “c’è oggi un divario che penalizza le aree interne e insulari, i territori montani. Questo divario - ha aggiunto - frena lo sviluppo nazionale nel suo insieme”. Provando a far riflettere le varie componenti politiche e istituzionali sull’importanza di un trattamento omogeneo all’interno della Penisola.

Proprio nel momento in cui è ripresa nell'aula della Camera la discussione del disegno di legge sull’autonomia differenziata con la votazione degli emendamenti: altro provvedimento che potrebbe avere un impatto significativo - diretto o indiretto che sia - anche nei confronti del comparto dei giochi.

“La nostra Costituzione - ha sottolineato ancora il presidente della Repubblica - riconosce il valore dell’iniziativa economica privata. Le costrizioni, le posizioni dominanti, il dirigismo finiscono sempre per invadere anche il campo di altre libertà, indebolendo così la stessa democrazia. Memorabile rimane la battaglia parlamentare, condotta da Luigi Einaudi all'Assemblea costituente, per inserire norme che impedissero pratiche di favoritismo statale nei confronti di privati e categorie: a tutela della concorrenza, quindi della libertà di impresa e di scelta di tutti”. Cos’altro aggiungere, anche volendo parlare di gioco?

 

Una cosa si potrebbe sicuramente dire: ricordando l’ipotesi cavalcata da alcuni esponenti politici e suggeriti anche da alcuni componenti dell’industria del gioco pubblico, di una destinazione dei proventi del comparto agli Enti locali, da inserire all’interno di un progetto di riordino.

Guardando i dati - a dir poco drammatici - provenienti dalla ricerca della Fondazione nazionale dei commercialisti, si evidenzia come tra i comuni italiani ci sono ben 470 centri in stato di crisi: 257 in pre-dissesto e 213 in dissesto. Un numero pari addirittura al 6 percento del totale complessivo dei municipi italiani.

Con l’indagine che sottolinea come a soffrire maggiormente siano le aree del Mezzogiorno e come la tendenza sia in aumento dopo la crisi del Covid.

Analizzando il periodo 2012-2024, emergono i casi di cinque enti che hanno dichiarato il dissesto da quasi 10 anni (ben oltre la durata prevista dalla norma, come fa notare la ricerca). Con un incremento di dissesti tra il 2018-2023 con un picco nel 2019 (35), un leggero calo nel biennio 2020-2021 per effetto delle misure straordinarie Covid e una ripresa nel 2023 (39).

A soffrire, come anticipato, sono soprattutto i piccoli centri: quasi il 45 percento dei casi riguarda enti con popolazione inferiore a 5mila abitanti (e fra questi il 24 percento rappresentato da enti con popolazione addirittura sotto i 2mila abitanti), mentre il 55 percento si trova nella fascia tra i 5mila e i 99.999 abitanti. Oltre i 100mila abitanti l’unico comune capoluogo di provincia è Catania.

Insomma, un quadro piuttosto preoccupante che si potrebbe (dovrebbe?) provare ad analizzare e ad approfondire anche in correlazione alla riforma del gioco, visto che anche questa dovrà passare al vaglio degli Enti locali stessi e non solo di Governo e Parlamento.

Ma in questo particolare momento storico l’attenzione non può che essere diretta anche - e soprattutto - verso l’Europa, proprio nella settimana in cui si discute (e si tratta) la nuova composizione del Consiglio europeo. Entro fine mese, infatti, i ventisette Paesi membri dell’Unione vogliono mettere a punto l’assetto europeo per il prossimo quinquennio. E anche se in questi giorni, sulla scia del risultato elettorale dell'8-9 giugno, si sono moltiplicati i segnali di una conferma di Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione europea, con il desiderio da più parti di assicurare stabilità all’Unione europea, in un contesto di grande incertezza a livello sia comunitario che internazionale, sono comunque in corso varie trattative per assicurare anche in questo caso il mantenimento di equilibri territoriali. 

Come abbiamo detto più volte, e non ci stancheremo mai di ripeterlo, anche la regolamentazione del gioco pubblico può e deve passare attraverso l’Europa. E non solo recependo le linee di indirizzo o le raccomandazioni che vengono fornite dalla Commissione o dal Parlamento Ue (che spesso sappiamo lasciare il tempo che trovano), ma anche guardando ai processi legislativi che ogni singolo Stato membro deve sottoporre alle istituzioni comunitari. Come accade per esempio anche oggi, con le nuove regole per il mercato del gioco online che saranno alla base della nuova gara per il rinnovo delle concessioni che dovranno essere vagliate dalla Commissione europea nonché dagli altri Stati membri, per valutarne la compatibilità con la dottrina europea e, soprattutto, l’omogeneità con il territorio comunitario.

Fermo restando, anche in questo caso, che gli squilibri tra diversi territori continueranno sempre ad esistere e a tentare di convivere nello status quo: ma con l’obbligo che rimane in capo alla politica e alle istituzioni di riferimento di intervenire e di provare a gestire il fenomeno.

 

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