Diciamo la verità: il “Governissimo” guidato da Mario Draghi non rappresenta una soluzione (o, meglio, una via di uscita) del tutto inaspettata. Non è un caso che, su questo giornale, ne avevamo già anticipato, e più volte, la sua possibile costituzione.
L'ultima delle quali appena qualche giorno fa, alla luce della crisi di Governo fatta esplodere da Italia Viva e dal suo leader, Matteo Renzi. Non soltanto perché, in fondo, alle elezioni anticipate non ci ha mai creduto davvero nessuno, quanto piuttosto per via dell'ingente quantitativo di denari che l'Europa ha promesso di destinare al nostro Paese, per la gestione del quale servono una serie di competenze (e di garanzie) che l'attuale compagine non sembrava essere in grado di garantire, numeri alla mano.
Con i pessimi risultati riscontrati a livello sanitario ed economico durante la pandemia - ricordati più volte dallo stesso Renzi in questi giorni - di fronte ai quali non poteva bastare l'insediamento di una task-force di trecento uomini o più, come proposto dal premier uscente, Giuseppe Conte.
In questo senso, dunque, nonostante l'iniziativa di Italia Viva continui ad apparire irresponsabile o comunque inopportuna, nei tempi e nei modi, la crisi è comunque figlia di una situazione che va ben oltre i litigi della nostra politica interna e al di là dei rancori personali o delle ambizioni del singolo.
Ciò che è certo, tuttavia, è che al futuro presidente del Consiglio individuato da quello della Repubblica, Sergio Mattarella, spetta un compito tutt'altro che semplice, che è quello di traghettare l'intera Penisola verso acque sicure e un futuro migliore, con l'aiuto (e il traino) dell'Europa.
E su questo l'ex presidente della Banca centrale europea appare senz'altro la persona giusta, non soltanto per il lungo e autorevole curriculum, ma anche per la lucidità e chiarezza dimostrate più volte, anche nel pieno della pandemia. Con il
suo discorso di qualche mese fa che aveva già incantato gran parte del Paese e non solo, in seguito a un articolo pubblicato sul
Financial Times che aveva avuto un'eco molto più forte di qualunque altra iniziativa o esternazione proveniente dal precedente Esecutivo.
Altrettanto certo, tuttavia, è che l'insediamento di Draghi a Palazzo Chigi rappresenterebbe una buona notizia per il comparto del gioco pubblico. In primis, diciamolo pure, perché peggio di come stanno andando oggi le cose, non potrebbero andare: e in questo senso, dunque, qualunque cambiamento e ogni segno di discontinuità, rappresenta inevitabilmente un passo in avanti e una nuova speranza.
Ma c'è di più. Sì, perché ciò che il nuovo premier, se confermato, potrà garantire è la massima concretezza possibile nella gestione di situazioni complesse, soprattutto quelle che hanno a che fare con l'economia.
Con il gioco, quindi, che come ogni altro comparto potrà essere guardato e affrontato da un punto di vista tecnico, oltre che politico. Che è proprio quello che non è mai riuscito a fare il precedente Governo Conte (sia il primo che il secondo), rinunciando a ogni tipo di analisi tecnico-politica e ricorrendo solo ed esclusivamente all'ideologia. Come dimostrano i tanti provvedimenti “punitivi” messi a punto dagli ultimi due governi nei confronti del settore: dal decreto Dignità alle varie manovre, che hanno imbavagliato il settore oltre a strangolarlo attraverso l'eccessivo ricorso alla leva fiscale, fino a decretare la chiusura totale di tutte le attività, durante la pandemia, senza alcuna analisi né condizione. Ma solo in virtù di un approccio ideologico e di una riserva mentale nei confronti del settore che ha finito col prevalere rispetto a quella di legge.
Sia chiaro: non che Mario Draghi possa considerarsi, in nessun modo, vicino al settore del gioco né tanto meno si può ritenere “favorevole” o meno a questa industria. Non è questo il punto. Ciò che conta, oggi più che mai, è guardare il comparto dal punto di vista economico, occupazionale e sotto il profilo dell'ordine pubblico. Cioè da un punto di vista tecnico, appunto. Con un occhio particolare rispetto ai possibili risvolti sociali o sanitari, non c'è dubbio, ma senza ricorrere all'ideologia o alla caccia alle streghe a cui abbiamo assistito negli anni passati, quando gli operatori del gioco venivano relegati al banco dei cattivi, senza alcuna possibilità di dialogo o di confronto.
Ecco quindi che l'insediamento del nuovo Governo guidato da Mario Draghi è in grado di dare una nuova speranza non solo al Paese, ma anche al comparto: se non altro perché
annunciato come un Governo "di alto profilo" da parte del presidente della Repubblica. Pur non potendo in nessun modo cancellare tutti gli errori e le storture commessi in precedenza, visto che un buon curriculum e una lunga esperienza, politica ed economica, non equivalgono a una bacchetta magica.
Guardando ancora ai giochi, per esempio, non si può certo pensare che il nuovo premier incaricato spalanchi le porte alla filiera o metta al centro le sue istanze, perché non avrebbe alcun senso: ancor più di fronte alla lunga lista delle esigenze e priorità dell'intero Paese. Perché il gioco continuerà sempre ad essere visto e considerato un settore “scomodo”, come accade ormai in qualunque altro Paese d'Europa e del mondo: e il semplice fatto di riuscire a considerarlo, prima o poi, alla pari di un altro settore, quindi in maniera “normale” sarebbe già un grandissimo risultato. E anche se non sarà Draghi a farlo, potrebbe essere il suo Governo a gettare le basi per arrivare, un giorno, a questo obiettivo. Ma il percorso non sarà comunque semplice, visto lo scenario, nazionale e globale e tenendo sempre a mente il punto di partenza in cui si trova oggi il settore, che è molto più indietro rispetto a quello di ogni altro comparto. L'unica certezza, dunque, è che la materia potrà essere analizzata da un punto di vista tecnico, ed è già qualcosa.
Non per questo, tuttavia, ci si deve aspettare che a partire da domani riapriranno i locali da gioco per il semplice fatto di avere un nuovo Governo. Chi ha buona memoria, del resto, ricorderà ciò che è già accaduto con i precedenti governi tecnici degli scorsi anni, con particolare riferimento a quello guidato all'ex premier Mario Monti: capace sì di valutare le situazioni da un punto di vista tecnico, ma riducendo al minino i momenti di dialogo e di confronto istituzionale che più appartengono alla politica “vera” e ai Governi che siano diretta espressione del popolo. All'epoca, infatti, è trascorso più di un anno prima di vedere assegnata la delega al gioco pubblico a uno dei sottosegretari all'economia, quando normalmente bastano pochi mesi per la suddivisione dei compiti e degli oneri, specialmente quelli di interesse del Mef, tra i quali il gioco è sempre rientrato, dal 2003 ad oggi. Con il rischio, dunque, che anche questa volta dovremo aspettare mesi prima di avere un interlocutore diretto per la filiera, ammesso che venga poi individuato.
Solo in questo, dunque, l'uscita di scena del Governo Conte 2 può rappresentare un passo indietro per il gioco pubblico, che perde così un referente a Palazzo Chigi, almeno per il momento, dovendo ripartire da zero. Nella speranza, però, che non si torni indietro nella gestione dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli, che durante la stagione dell'ultimo Esecutivo aveva assunto un ruolo centrale nel sistema Paese, raccogliendo tutti i buoni auspici della filiera in ottica futura, oltre alla totale fiducia di Governo e istituzioni. Una buona base, anche questa, da cui ripartire e una piattaforma da sviluppare. Senza dimenticare, soprattutto, il tema del Riordino: un obiettivo che per un Governo tecnico dovrebbe apparire molto più facilmente raggiungibile rispetto a qualunque altra compagine scaturita da una maggioranza - specie se "raffazzonata", come quella dell'ultima legislatura - non dovendo preoccuparsi del consenso elettorale ma solo ed esclusivamente dei benefici che da quella riforma potrebbero e dovrebbero scaturire.