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Casinò e mance, bilanci e proposte di fine anno

28 dicembre 2024 - 09:15

L'analista di gaming Mauro Natta esamina il tema del trattamento delle mance nei casinò italiani, lanciando una proposta fiscale.

Foto di Ibrahim Rifath (Unsplash)

Foto di Ibrahim Rifath (Unsplash)

Siamo giunti alla fine del 2024 e mi è nato il desiderio di esaminare in quale modo, nei casinò nazionali, sono state tenute in considerazione le mance che i giocatori, in occasione della vincita, elargiscono all’impiegato di gioco.

Non è assolutamente mia intenzione riportare leggi, decreti e sentenze se non quanto ritengo il minimo indispensabile. Non è agevole per alcuno sostenere che il disposto dell’art. 3, lett.i, del decreto n. 314 del 1997 è stato una notevole concausa dell’incremento del costo del lavoro.

Appurato che la vincita al gioco nei casinò autorizzati è esente da Irpef in capo al giocatore vincente, si tratta di trovare il modo per garantire una entrata tributaria all’ente pubblico titolare della autorizzazione alla casa da gioco. Ma non possiamo omettere che la mancia è, indubbiamente, la parte più piccola della vincita che, come precedentemente citato, è esente da tassazione.

Pareva, a ragione, inconcepibile che una somma potesse essere riconosciuta come reddito solo ai fini fiscali e non anche ad altri fini. Mi permetto di aggiungere che non appare logico, nell’ambito di uno stesso ordinamento giuridico, che una attribuzione patrimoniale sia qualificata come “compenso” ad un effetto (quello fiscale) e non ad un altro effetto (quello previdenziale), proprio in un combinato normativo in cui quella qualificazione presuppone necessariamente quest’altra. E proprio ciò ritengo abbia anche influito sul disposto del citato art. 3.

Mi permetto aggiungere ciò che penso e cioè che il primo beneficiario è, indiscutibilmente, il croupier. Il gestore non ha titolo originario a parte della vincita, cioè la mancia; d’altra parte sarebbe paradossale che partecipi alla vincita chi, perdendo, la deve finanziare...

La sentenza n. 1775 del 18 maggio 1976 della Sezione lavoro della Corte di cassazione, a proposito della mancia ai croupier, recita: “Il sistema mancia è retto da un uso normativo, si ricava dall’indirizzo consolidato della giurisprudenza dal 1954 tanto consolidato quanto idoneo ad assumere un ruolo di fonte secondaria del regime giuridico proprio del particolare rapporto che obbliga il giocatore vincente ad elargire una parte della vincita al croupier e questi a ripartirla con gli altri addetti ed il gestore”.

Con sentenza 9 marzo 1954, n. 672, la Cassazione, prendendo in esame il caso specifico dei dipendenti delle case da gioco, in una causa instaurata da alcuni dipendenti del casinò di Sanremo contro il Comune perché fosse dichiarato nullo il patto di devoluzione di una quota del monte mance all’ente gestore del Casinò si pronuncia concludendo, tra l’altro, che il patto che attribuisce all’azienda una parte delle mance non è nullo per mancanza di causa dato che il datore di lavoro offre al lavoratore l’organizzazione e l’occasione per ricevere le mance.

Ed è su questa conclusione, potrebbe essere dato di pensare, che il decreto legislativo n. 314/1997 qualifica le mance stabilendone la tassazione e la contribuzione ai fini pensionistici.

Negli ultimi tempi il costo del lavoro sembra preoccupare sempre di più le gestioni a tutto discapito della finalità per la quale le case da gioco sono state autorizzate, la prima nel 1927.

Il costo del lavoro ha registrato continui incrementi a causa del calo dei proventi relativi ai  giochi da tavolo a favore delle slot.  L’armonizzazione dell’imponibile ai fini dell’imposta personale sul reddito delle persone fisiche a quello della contribuzione ai fini pensionistici ha aggravato la situazione.

Avviandomi alla conclusione pongo in evidenza che la ripartizione delle mance compendia che una parte sia devoluta al gestore che, come  è dato leggere nella sentenza ricordata, offre al lavoratore l’organizzazione e l’occasione per ricevere le mance.

Allo stesso tempo, così come avviene in una casa da gioco del Paese, la ripartizione avviene con percentuali differenti dal 50 percento e lo si può imputare alla minore consistenza delle mance nei giochi da tavolo americani.

Ora ritorno sul patto di devoluzione che ritengo estraneo al contratto di lavoro. Sono gli impiegati che stabiliscono la ripartizione di quanto loro spettante sulla scorta dell’anzianità o altro e contrattano col gestore per quanto alla percentuale in discorso.

Pare che i giochi da tavolo americani siano maggioritari nella scala dei proventi delle case da gioco e che la diminuzione del monte mance possa influire su richieste salariali o patti col gestore relativi a percentuali di devoluzione diverse, come già avviene, dal 50 percento. Il tutto si potrebbe ridurre in minori utili con una adeguata diminuzione della tassa di concessione che il gestore, pubblico o privato che sia, versa al Comune o alla Regione.

Mi permetto un suggerimento; perché non trattare fiscalmente le mance alla stregua delle vincite, non assoggettarle più a contribuzione pensionistica a carico del datore di lavoro, rendendo obbligatoria la pensione integrativa relativa alle mance, lasciando al gestore soltanto quella sulle retribuzione ordinaria?

Il tutto si risolve in un maggiore utile per il gestore che non deve affrontare eventuali richieste salariali e, per contro, una maggiore entrata tributaria a favore dell’ente pubblico periferico titolare della casa da gioco. Può essere il caso di considerarlo?

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