I casinò possono diventare industria?
La case da gioco alla ricerca di un nuovo modello di business, tra emergenza in atto e necessità di garantire entrate alla proprietà e occupazione.
Per una volta, citeremo alcuni numeri, non quelli che rappresentano l’anima del gioco d’azzardo, bensì quelli che raccontano lo stato di salute dei casinò italiani. I dati progressivi relativi ai proventi lordi di gioco aggiornati al mese di agosto del 2020 evidenziano un totale, per le tre case da gioco in attività, di circa 70,5 milioni di euro.
Si tratta di un numero importante, soprattuto se si considerano le dimensioni della aziende che li hanno prodotti. Un comparto che è stato fortemente penalizzato dalla pandemia e che, in attesa di nuove disposizioni da parte del premier Giuseppe Conte, continua a risentire degli effetti che la stessa ha prodotto in termini di regole, prima fra tutte l’obbligo di distanziamento tra le persone. Gli effetti sull’andamento del business dell’azzardo sono stati devastanti, il calo dei ricavi, rispetto al 2019, è di circa il 48 percento.
Ciononostante, le case da gioco italiane, continuano ad assicurare occupazione e a generare ricadute positive a favore dei territori in cui operano. La loro principale caratteristica è quella di essere parte integrante dell’offerta di entertainment che località prestigiose offrono ai propri frequentatori. Propongono infatti divertimento a che le visita e a nostro parere meriterebbero di essere considerate a pieno diritto come facenti parte dell’industria di settore.
In questo grave momento di crisi, avrebbero meritato di essere aiutate in modo concreto dal nostro Governo, in quanto rappresentano un “unicum” che deve essere salvaguardato per mantenere viva una tradizione e uno stile che sono anche segno di distinzione per la nostra nazione.
Ahimè e purtroppo, il gioco d’azzardo resta la principale fonte dei loro ricavi, situazione che - come abbiamo avuto più volte occasione di scrivere - le penalizza, ancor più in tempi di Covid-19.
Premettiamo che non è per niente è facile reinventare un modello di business, anche se in Italia alcune “best practice” alle quali ispirarsi ci sarebbero, ma una diversificazione dell’offerta da loro proposta non potrebbe che giovare ai conti e attrarre nuova e anche diversa clientela.
La nostra rischia di restare una “vox clamantis in deserto”, ma non smettiamo di insistere sull’argomento, anche a rischio di essere etichettati come noiosi. Il cambio generazionale nel management di queste aziende è più che compiuto, purtroppo portando con sé una pesante eredità del passato, quindi un trend negativo degli incassi al quale, nel breve periodo, non è certo possibile rimediare. Non ce ne vogliano coloro che credono di possedere la ricetta miracolosa per rilanciare i casinò.
D’altronde non serve essere degli esperti per comprendere come l’evoluzione del gioco d’azzardo proposta in terre sicuramente più fertili della vecchia Europa, per numero di potenziali clienti e disponibilità di risorse economiche da dirottare a favore degli investimenti, abbia prodotto risultati molto apprezzabili. Nel nostro continente, forse per vincoli di carattere culturale, questo business viene lasciato da parte, ignorandone il reale potenziale, per resa economica, per capacità di attrarre turisti.
Ci meraviglia la difficoltà che manifestano le rispettive proprietà di scommettere su di un futuro diverso, quindi su un nuovo modo di pensare a questa particolare attività creando discontinuità rispetto ad un modello che ormai segna clamorosamente il passo.
Altrettanto strana è la mancanza di interesse da parte delle grandi Società dell’azzardo d’oltreoceano rispetto alla possibilità di assicurarsi la gestione di storici casinò europei, e non pensiamo solo a quelli italiani. Ci sfugge qualcosa o forse no. Un freno potrebbe essere rappresentato dal contesto giuridico in cui le case da gioco operano nella vecchia Europa, in certi casi in assenza di norme chiare, in altri in presenza di un eccesso di regole.
Resta l’amara constatazione che nonostante i 70 milioni di euro di ricavi prodotti nel pandemico 2020, tutto taccia… A parziale discolpa delle proprietà nel perseguire questo atteggiamento di rassegnazione va citata la situazione debitoria che in molti casi caratterizza i bilanci di queste aziende, per troppo tempo considerate galline dalle uova d’oro che, oggi, di uova non ne depongono più. Per noi è un atteggiamento sbagliato. Bisogna credere e investire nella possibilità di un rilancio, senza pensare alla pozione magica di Asterix, bensì accettando di promuovere un cambio di pelle che porti i casinò a diventare poli di attrazione per più eccellenze e non solo di quella del gioco d’azzardo.
Ci illudiamo che un giorno qualcuno possa sposare, almeno in parte, il nostro suggerimento che non è frutto di improvviso ingegno, ma solo conseguenza di un’analisi della concorrenza che da anni ha aperto la porta al cambiamento.