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Punto mance nei casinò, una questione sempre più complessa

04 aprile 2024 - 10:23

La ripartizione delle mance nei casinò era relativamente semplice quando esistevano i soli giochi tradizionali, ma l'introduzione di nuovi ha complicato le cose.

Scritto da Mauro Natta
Foto di John Schnobrich su Unsplash

Foto di John Schnobrich su Unsplash

Il “punto” mance differenziato sulla scorta delle conoscenze adeguate per lo svolgimento professionale dei giochi da tavolo è da ritenere argomento di attualità. Una premessa è d’obbligo e l’argomento mi pare utile in tema di politica produttiva.

La sentenza n. 1776 del 18 maggio 1976 della Sezione Lavoro della Suprema Corte di Cassazione, a proposito della mancia al croupier, recita: “ Il sistema mancia è retto da un uso normativo - si ricava dall’indirizzo  consolidato della giurisprudenza dal 1954 – tanto consolidato quanto idoneo ad assumere un ruolo di fonte secondaria del regime giuridico proprio del particolare rapporto che obbliga il giocatore vincente ad elargire una parte della vincita al croupier e questi a ripartirla con gli altri addetti ed il gestore…” Mi scuso se continuo a citare questa sentenza mi pare sia il caso. Il primo beneficiario della mancia è, indiscutibilmente, il croupier. Il gestore non ha titolo originario a parte della vincita (cioè la mancia); d’altro canto sarebbe paradossale che partecipi alla vincita chi, perdendo, la deve finanziare: il gestore. Il fatto che quest’ultimo soggetto partecipi ad una parte delle mance, fondato su un patto o un accordo di devoluzione... (Cassazione, 9 marzo 1954, n. 672).  

Il quantum delle mance, come descritto dalla Cassazione il 9 marzo del 1954, di cui l’ente pubblico beneficia non discende da una norma di legge ma da un indirizzo della giurisprudenza tanto consolidato quanto idoneo ad assumere un ruolo di fonte secondaria del regime giuridico proprio del particolare rapporto. Quindi modificabile, mi pare, come una norma contrattuale e ritengo se ne abbiano le prove. 
Il “punto” è l’espressione che indica la misura di partecipazione alle mance – bene inteso quanto rimane ai dipendenti – di ciascun impiegato ai tavoli da gioco. Un tempo, quando esistevano i soli giochi tradizionali, era molto semplice risolvere il problema, esistevano due reparti uno per lo chemin de fer e l’altro per la roulette francese e il trente et quarante; chi sapeva praticare quest’ultimo gioco era in grado di svolgere professionalmente il compito alla roulette.

In seguito nelle case da gioco sono stati introdotti i giochi americani o nuovi che dir si voglia, giochi che, permettetemi il termine, rendevano e rendono meno in mance. Queste derivano dalla probabilità di vincita del banco: ad esempio 2,7027 per la roulette francese e fair roulette, 5,2631 per la roulette americana. Non desidero annoiare più del dovuto e tralascio il richiamo ad altri giochi. Un richiamo al rendimento di cui sopra lo evidenzio richiamando i numeri del cilindro francese (36 + uno zero) e di quello americano (36 + zero e doppio zero); da qui è agevole comprendere la differenza in mance che nella roulette francese hanno una percentuale rispetto ai proventi che, nel caso della roulette americana, diventa minore.

Ne deriva, tra l’altro e sempre a mio personale avviso, come le percentuali a favore del banco assumano una grande rilevanza nella metodologia del controllo sulla regolarità del gioco e degli incassi. L’ ho utilizzato e  mi ha dato una grande sicurezza anche a causa della affidabilità delle quale ho avuto ampia contezza.
Il problema non esiste se i gestori sono due, uno per i giochi francesi, l’altro per quelli americani slot comprese; se invece è unico potrebbero sorgere difficoltà. 
Ne abbiamo una prova nella ripartizione delle mance chemin de fer (54 all’azienda e 46 ai dipendenti) e una diversa (40 e 60 percento) in altra occasione.

Tenendo presente la facoltà del gestore, opportunamente autorizzato dal concedente, di introdurre i giochi che ritiene validi per attuare la politica produttiva, non possono sottacersi le esigenze del personale tecnico di gioco che, forse, la multifunzionalità potrebbe risolvere.
A mio parere sono da scartare le retribuzioni differenziate allo scopo di pareggiare una minore capacità professionale conoscendo due giochi o più, così come sarebbe deleterio adottare una scala retributiva su un principio inverso.
La partecipazione al punto viene stabilita dai dipendenti aventi causa e non dal datore di lavoro, è questa la motivazione che una scaletta sulla base delle professionalità acquisite avrebbe necessità di essere stilata ed approvata.

Qualche tempo addietro ho letto di una possibilità di dividere l’appartenenza ai giochi praticati in reparti o qualcosa di simile, una via che non seguirei anche in considerazione del costo del personale.
È pur vero che il decreto sulla armonizzazione ha stabilito, all’art. 3, il regime fiscale delle mance; ma una retribuzione variabile potrebbe causare l’effetto citato precedentemente.
In ogni caso non è assolutamente il mio compito segnalare la modalità da seguire, resta il fatto che la possibilità di adeguare l’offerta alla domanda impone delle scelte che, sommessamente, mi sono permesso di evidenziare in vista di un mercato che potrebbe subire variazioni in tempi discretamente brevi. 

Mi concedo, a mente il richiamato decreto se non erro il n. 314 del 1997, un’ultima osservazione: la differenza tra retribuzione e punto in considerazione del differente trattamento fiscale e retributivo che, a mio vedere da vecchio osservatore di vicende simili in altri tempi, potrebbe far propendere da una parte o dall’altra in argomento costo del lavoro del personale tecnico di gioco.
Aggiungo che, parlando di politica produttiva, di offerta e domanda e altro, non sempre si può fare riferimento ai soli ricavi ma considerare i costi può essere considerato un atteggiamento prudenziale. Il tema in discorso mi sembra proprio richiamare detta opportunità che, a volte, possiamo vedere anche come esigenza. 

Mi concedo una variazione, ma fuori tema, sperando vivamente che sia l’ultima volta che ne scrivo perché non ha alcuna utilità pratica se non, forse, per chi ha interesse a rendere pubblici alcuni risultati alquanto riduttivi, ben si intende a mio parere.
Mi permetto di indicare dati mensili assolutamente veri e controllabili perché qualcuno potrebbe ancora averli così come erano ancora tra le mie scartoffie; si tratta dei ricavi del trente et quarante del mese di gennaio 2018 e 2019. 
Il ricavo del trente et quarante  del mese di gennaio del 2018  è stato di 30.961, nello stesso mese del 2019 troviamo una perdita di 38.287. la differenza tra i due risultati è 69.248, quindi del 223,66 percento in meno.
Ora, quando scrivo che le differenze di uno stesso mese  di un determinato anno con quello precedente non hanno qualche significato particolare e lo dimostro, forse, con un caso limite ma assolutamente, come già scritto vero, penso di aver raggiunto lo scopo: se vogliamo fare dei confronti dobbiamo prendere in considerazione dei periodi omogenei ma di una durata superiore, almeno sei mesi o, meglio, un anno intero.

Se prendiamo tutto l’anno, troviamo il totale di 610.683 per il 2018 e di 253.355 per il 2019, una differenza di 365.328 pari al 59,05 percento in meno; certamente un risultato molto differente!
Se poniamo mente alle singole voci di entrata, sia i giochi da tavolo sia le slot machine, abbiamo due risultati conclusivi: l’incidenza dei provento slot sul totale che aiuta a definire la qualità del gioco e della frequentazione, il peso dei singoli giochi da tavolo rafforza, se del caso, detta particolarità a mente la grande rilevanza dei proventi aleatori.

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