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Bandi al Casinò Campione: riflettori sulle qualità dei dipendenti

11 ottobre 2024 - 10:27

L'analista di gaming Mauro Natta esamina le problematiche connesse ai bandi di concorsi interni al Casinò Campione d'Italia.

Scritto da Mauro Natta
Foto di Gustavo Spindula su Unsplash

Foto di Gustavo Spindula su Unsplash

La problematica che i bandi di concorsi interni al Casinò di Campione d’Italia hanno sollevato mi invita ad alcune considerazioni.
Le mance di gioco, di cui alla Legge n. 488 del 1986, sono parte della vincita e gli impiegati tecnici ne dovrebbero ‘devolvere’ una parte, che non sempre è il 50 percento, alla gestione. 
La sentenza n.1775 del 18 maggio 1976 della Sezione lavoro della Corte di cassazione, a proposito della mancia ai croupier recita: Il sistema mancia è retto da un uso normativo si ricava dall’indirizzo consolidato della giurisprudenza dal 1954 tanto consolidato quanto idoneo ad assumere un ruolo di fonte secondaria del regime giuridico proprio del particolare rapporto che obbliga il giocatore vincente ad elargire una parte della vincita al croupier e questi a ripartirla con gli altri addetti e il gestore....

A commento mi permetto aggiungere che il primo beneficiario è, indiscutibilmente, il croupier. Il gestore non ha titolo originario a parte della vincita, cioè la mancia; d’altra parte sarebbe paradossale che partecipo alla vincita chi, perdendo, la deve finanziare...
La sentenza del Tribunale di Venezia in data 19 febbraio 1975, in causa Comune di Venezia c. Enpals e Bevilacqua: “è pacifico che le mance in questione sono elargite dai giocatori vincenti e metà di esse è trattenuta dall’impresa che gestisce la casa da gioco e l’altra metà (ora non è più così Ndr) viene distribuita tra i dipendenti addetti al gioco...
Fatta la doverosa premessa il punto è quella modalità di ripartizione delle mance rimanenti tra il personale di gioco sulla scorta della professionalità acquisita. Non intendo andare oltre se non precisare che detta ripartizione avviene, o meglio avveniva, dietro indicazione da parte di un ispettore che con questa certificava il merito del dipendente.

Non siamo più nel 1946 quando a Sanremo fu aperto l’attuale Casinò e chi vi lavorava ben difficilmente possedeva titoli di studio o altro. Oggi chiedere un titolo di studio non potrebbe rappresentare una eccezione, ma pensare che un ispettore, poiché deve, oltre alla conoscenza dei giochi, avere contatti con la clientela e credo che di ciò si debba tenere conto, non dovrebbe classificarsi come qualcosa di strano, per non usare altra aggettivazione. 
Ciò che maggiormente rileva in questa questione che non mi pare rivesta una importanza alta ma da tenere ben presente in relazione alle mansioni alle quali è chiamato il dipendente. 

Pensare, a ragione, che l’azienda non dovrebbe sottovalutare le qualità del dipendente, non può essere esagerato se visto e considerato nel risultato del gioco. In parte consiste e dipende dalla qualità della frequentazione, dalla professionalità dei dipendenti e dal fatto che da quanto sopra  deriva la continuità operativa degli aventi causa: ente pubblico concedente e lavoratori.

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