Gestori sale da gioco come terroristi: e la banca chiude i conti
L'infelice ammissione della Banca e la triste realtà con cui continuano a scontrarsi gli operatori del gioco legale.
Operatori di sale giochi e scommesse alla stregua di criminali e terroristi. E' questa la dura e cruda realtà con la quale devono scontrarsi gli addetti ai lavori del gioco pubblico (e, quindi, legale), vedendosi peraltro interrompere, in maniera irreversibile, i propri conti corrente bancari, al di là di qualunque posizione finanziaria. E nonostante l'esercizio di un'attività più che legittima, poiché esercitata a valle di una rapporto di concessione e, quindi, operata in nome e per conto dello Stato. Ma non per le banche, tuttavia, le quali continuano a chiudere la porta (e i conti) ad aziende sane. Per una realtà, ormai insostenibile - specialmente in tempi di crisi generale come quelli attuali, durante la pandemia - e che grida vendetta. Il caso è già ampiamente noto, al punto da essere diventato oggetto di analisi anche in una speciale commissione parlamentare. Adesso però la materia sembra degenerare ulteriormente, al punto che alcuni istituti di credito non hanno alcuna perplessità nel mettere nero su bianco anche il più infelice degli accostamenti, tra gioco legale e criminalità.
Come nel caso di una banca del network del credito cooperativo che nei giorni scorsi ha scritto a una società di gestione, in risposta alla richiesta di chiarimenti riferita alla chiusura dei propri conti, con queste parole: "Per quanto riguarda la Sua richiesta relativa alle motivazioni del recesso dal rapporto di conto, facciamo presente che la policy adottata dalla nostra capo gruppo, in tema di 'gestione e rischio del riciclaggio e finanziamento al terrorismo' ha dettato principi e limiti alla operatività che le Banche aderenti devono avere nei confronti dei rapporti intrattenuti con soggetti che svolgono determinate e ben identificate attività, fra le quali rientra la gestione di sale giochi e scommesse".
Tutto chiaro, dunque. Almeno per la banca. Non si tratta di una persecuzione "ad aziendam". bensì di una politica generale perseguita dal gruppo, che vede le aziende di gioco, benché legali, per definizione, alla pari di organizzazioni criminali.