“L’art. 1, commi 1131-1133, legge n. 178/2020, prevede un regime agevolativo per il pagamento del canone sul presupposto che l’attività di gestione della sala bingo fosse divenuta operativa a conclusione della precedente sospensione (c.d. prima fase della pandemia). All’epoca dell’adozione di tali disposizioni la riapertura delle sale bingo era infatti imminente (come previsto dal Dpcm 3 dicembre 2020) e quindi il legislatore aveva adottato su questo presupposto disposizioni volte ad agevolare la graduale ripresa delle attività da parte dei gestori che si trovavano a dover riaprire, dopo un certo periodo di sospensione imposta, le attività. Ove le sale bingo fossero state riaperte, gli interessati avrebbero potuto dunque fruire dell’agevolazione prevista. Tuttavia, a causa della perdurante sospensione delle attività decretata dall’autorità pubblica (c.d. seconda ondata della pandemia), il canone non poteva che rimanere non dovuto per l’intero periodo della sospensione (nelle regioni in cui operava il regime di sospensione), ricorrendo il presupposto (la sospensione imposta dell’attività) indicato dalla precedente disciplina generale dell’art. 69 del d.l. 18/2020 rimasta in vigore”.
Non lascia dubbi il Tar Lazio nella sentenza con cui accoglie il ricorso presentato da alcuni operatori del bingo contro i provvedimenti con i quali l'Agenzia delle dogane e dei monopoli ha chiesto loro il versamento di quanto dovuto a titolo di canone di proroga tecnica, in relazione alle convenzioni di concessione, per il periodo di totale chiusura dell’attività di gioco - sale bingo comprese - , in dipendenza della situazione emergenziale dovuta alla pandemia da Covid 19.
Adm ha richiesto ha richiesto il pagamento del canone concessorio mensile pari a 7.500 euro (aumentato a seguito delle modifiche apportate dall’art. 1, comma 1047, legge n. 205/2017) per il periodo che va dal mese di novembre 2020 al mese di maggio 2021 in quanto nonostante l'interruzione dell’attività di gestione della sala di gioco del bingo , “non è stata emanata alcuna altra norma che esplicitamente sospendesse per questo ulteriore periodo il pagamento dei canoni mensili del Bingo”.
Per i ricorrenti invece “la sospensione temporanea del canone troverebbe fondamento non solo nell’art. 69 del d.l. 17 marzo 2020, n. 18, che ha previsto per tutto il periodo di sospensione imposta dall’autorità pubblica la non debenza del canone, ma altresì negli stessi provvedimenti governativi che hanno di fatto imposto la sospensione e che invocano quindi a fondamento della tutela della loro posizione giuridica”.
Un'ipotesi condivisa dai giudici amministrativi capitolini. Nella sentenza infatti si legge: “L’art. 69, comma 2, d.l. n. 18/2020, convertito dalla legge n. 27/2020, stabilisce che 'a seguito della sospensione delle attività delle sale bingo prevista dal decreto del presidente del Consiglio dei ministri dell’8 marzo 2020 e successive modificazioni e integrazioni, non è dovuto il canone di cui all’articolo 1, comma 636, della legge 27 dicembre 2013 e ss.mm. e ii. a decorrere dal mese di marzo e per tutto il periodo di sospensione dell’attività'- La disposizione va interpretata secondo i consueti canoni ermeneutici dell’interpretazione letterale e dell’interpretazione logica tramite il criterio storico-sistematico (art. 12 preleggi). Secondo l’interpretazione letterale della disposizione, il legislatore ha stabilito che “non è dovuto il canone” di concessione previsto durante il regime di proroga c.d. tecnica non solo 'a seguito della sospensione delle attività delle sale bingo prevista dal decreto del presidente del Consiglio dei ministri dell’8 marzo 2020', ma anche 'per tutto il periodo di sospensione dell’attività'.
Secondo l’interpretazione logica, la ratio della norma è quella di esonerare i concessionari del gioco del bingo dal pagamento del canone durante il periodo di chiusura dell’attività imposta per ordine dell’autorità pubblica poiché, in questo periodo, non è ragionevole imporre il pagamento del canone in mancanza dello svolgimento dell’attività idonea a reperire le risorse necessarie per provvedere al suddetto pagamento”.
Nella sentenza quindi si legge: "L’art. 69, comma 2, d.l. n. 18/2020, si inserisce nel quadro di una serie di misure normative poste in campo dal legislatore per evitare che i consociati, e in particolare, gli operatori economici potessero subire, in relazione ai rapporti giuridici in essere, le conseguenze derivanti dall’applicazione in via autoritativa dei provvedimenti amministrativi volti a fronteggiare la diffusione della pandemia da Covid-19. La disposizione lega quindi la non debenza del canone non già - in modo statico - al periodo di sospensione delle attività indicato nel Dpcm 8 marzo 2020 (ossia dalla data dell’8 marzo 2020 e fino al 3 aprile 2020), bensì - in modo dinamico - a tutto il periodo in cui l’attività risulta comunque sospesa in virtù di provvedimenti dell’autorità adottati per fronteggiare la diffusione dell’epidemia.
La sospensione temporanea del pagamento del canone è quindi legata alla 'sospensione dell’attività' dovuta ad un sopravvenuto atto della autorità pubblica che non era ragionevolmente prevedibile secondo la comune diligenza dai ricorrenti e che costituisce quindi factum principis che giustifica, per una causa oggettiva non ascrivibile al gestore, la non debenza temporanea del canone".