Proroga bingo, avvocato Dagnino: 'Da Upb dati pro piccoli operatori'
L'avvocato Alessandro Dagnino commenta la causa sulla legittimità della norma sulla proroga delle concessioni alle sale bingo, in discussione alla Corte Costituzionale.
Scritto da Redazione
“L’Ufficio parlamentare di bilancio ha confermato che, a causa dell’elevato canone di concessione, le piccole sale bingo subiscono un peso quattordici volte più elevato rispetto a quelle di grande dimensione. Inoltre, il canone di proroga tecnica delle concessioni di sale bingo ha alterato il mercato favorendo i player più strutturati”.
A dichiararlo è l’avvocato Alessandro Dagnino, dopo l’udienza di ieri, 23 febbraio, della Corte costituzionale sul ricorso sulla legittimità costituzionale della legge che proroga le concessioni fino al 2023 innalzando a 7500 euro il costo del canone mensile.
L’avvocato Dagnino patrocina la causa di due concessionari di minori dimensioni, i quali chiedono al Giudice delle Leggi di dichiarare incostituzionale la norma, affermando che essa celi l’introduzione di una tassa occulta e alteri la concorrenza fra gli operatori del settore. Adesso anche le conclusioni tratte dall’ufficio parlamentare, nella relazione richiesta dagli stessi giudici costituzionali, sembrano avallare la tesi della discriminazione delle sale bingo con volumi d’affari più piccoli.
Numerosi sarebbero i motivi per cui la normativa viola la Costituzione. Quanto alle proroghe, che vanno avanti dal 2013, il Legislatore ha “finito col travalicare i confini di ragionevolezza costituzionalmente consentiti”, trasformando le proroghe - così si legge nella memoria depositata - “da strumento di adeguamento provvisorio a vero e proprio strumento di tassazione regressiva a finalità di politica economica”.
Inoltre, “l’aumento del canone concessorio, affiancandosi al protrarsi sine die del regime di proroga, non può che incidere gravemente sulle libertà degli operatori interessati” compromettendo così il diritto alla libera iniziativa economica fissato dall’articolo 41 della Costituzione. I piccoli concessionari si sarebbero trovati, così, di fronte alla scelta tra pagare di più o vendere alle imprese più grandi per l’impossibilità ad affrontare il costo del canone. Alla difesa non è rimasto così che chiedere l'accoglimento delle domande formulate.