Sono stati giorni particolarmente intensi, a tratti anche duri, quelli appena trascorsi per la premier Giorgia Meloni, che ha dovuto forse affrontare la settimana più difficile da quando si è insediata alla presidenza del Consiglio. Con il complicato dossier sul caro benzina da gestire, insieme alle varie frizioni con gli alleati, che vanno ben al di là del caro carburanti. Ma una volta che gli altri componenti della maggioranza hanno ottenuto, più o meno, ciò che volevano (se non altro in termini di visibilità e di “peso”), tutti sono tornati a recitare il ruolo dei “buoni alleati”, confermando fiducia totale alla presidente del consiglio e giurando sulla durata di almeno 5 anni dell'esecutivo, proprio nel giorno in cui Meloni festeggiava il suo primo compleanno da premier. Anche se le frizioni non sono certo destinate a concludersi (anzi), soprattutto dopo l'ultima uscita del leader leghista, Matteo Salvini, che ha rilanciato il tema dell'Autonomia, fissando addirittura un obiettivo temporale, promettendo di raggiungerle entro il 2023. Nonostante il tema sia particolarmente divisivo. Tant'è che il Ministro degli Esteri, il forzista Antonio Tajani, ha subito precisato che l'Italia “non può essere divisa” e che “non si può penalizzare il Sud”, come accadrebbe dall'interpretazione leghista di una nuova autonomia. Mentre il Ministro delle Regioni, il leghista Roberto Calderoli, ha tenuto a precisare che “la riforma la porto avanti”, confermando il nervosismo che aleggia all'interno della coalizione. Salvini, del resto, ha detto chiaramente che “dopo 30 anni di battaglie, grazie a un centrodestra serio e compatto al governo e alla presenza importante della Lega, l’autonomia sarà realtà entro il 2023”, in occasione della presentazione dei candidati del Carroccio alle regionali in Lombardia. Promettendo – addirittura - “Federalismo e presidenzialismo” per mantenere la parola data agli elettori.
Ma l'idea leghista di una nuova autonomia regionale non preoccupa soltanto una parte della maggioranza (oltre all'opposizione, essendo tema divisivo anche per il Pd, viste le vedute differenti, sul tema, anche tra i vari candidati alle primarie). A temere un eventuale scenario di questo tipo è (e dovrebbe essere) anche l'industria del gioco pubblico, che già nelle condizioni attuali deve scontrarsi con una legislazione selvaggia e pressoché autonoma da parte delle regioni, le quali sono finite col vietare o limitare drasticamente l'offerta di gioco legale sul territorio. Scatenando quell'annosa e tutt'altro che risolta “Questione territoriale”, di cui si dovrebbe conoscere un nuovo capitolo proprio in questi giorni, quando arriverà l'attesissima pronuncia relativa al caso del Trentino. Figuriamoci, quindi, cosa potrebbe accadere nel caso in cui lo Stato dovesse concedere una “vera” (cioè piena) autonomia alle Regioni, come vorrebbe la Lega e come reclamano i leader leghisti delle principali regioni del Nord. Ma forse è ancora troppo presto per preoccuparsi di questo, nel settore: visto che non mancano le grane già oggi, nella più stringente attualità. Sì, perché oltre al giudizio pendente sul Trentino, che potrebbe provocare conseguenze drammatiche per l'industria (non soltanto sul territorio, ma anche a livello nazionale per le possibili ricadute e il probabile effetto domino già verificatosi in precedenza), per gli addetti ai lavori il focus principale rimane quello sulla riforma del comparto. Su quell'atteso Riordino che, oltre a dover risolvere – almeno in teoria – la stessa Questione territoriale, dovrebbe anche consentire l'emanazione dei bandi di gara per il rinnovo delle concessioni, che si attendono ormai da troppo tempo. E i piccoli passi in avanti compiuti in questi pochi mesi di governo, sembrerebbero promettere tempi migliori rispetto al passato. Sì, perché oltre ad aver prorogato le scadenze delle concessioni e optato per un allineamento generale dei vari giochi, come nessuno aveva osato fare prima, pur ravvisandone l'esigenza, l'esecutivo di Giorgia Meloni ha ormai completato tutti i passaggi propedeutici per iniziare a lavorare sul settore: dapprima assegnando la delega al sottosegretario all'Economia Sandra Savino, e subito dopo, rinnovando i vertici dell'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, inserendo una persona di fiducia alla carica di direttore generale, qual è Roberto Alesse per la premier. Adesso, quindi, ci sono tutti i presupposti per iniziare a lavorare sul settore e, sperabilmente, a quell'attesa riforma, che non si può più rimandare.
Del resto, la stessa Meloni ha ribadito in queste ore: “Staremo cinque anni al governo malgrado i bastoni fra le ruote dell’opposizione e non solo”, volendo dare prova di forza e promessa di stabilità, che sono alla base di qualunque processo di riforma. Aggiungendo, nel suo messaggio di auto-auguri di buon compleanno: “Mi auguro di non farmi spaventare dalla mole dei problemi, di non farmi ammaliare dalle sirene del potere, di non farmi convincere da un sistema che non condivido. Mi auguro di essere audace, concreta, veloce e coraggiosa. Di guardare sempre a quello che è giusto per l’Italia”. Ed è proprio ciò che si augurano gli addetti ai lavori del gioco pubblico. Anzi, di più: è proprio ciò che chiedono e auspicano da tempo, cioè di poter trovare qualcuno che guardi alla concretezza delle cose e al bene del paese e del funzionamento dello Stato, senza barriere ideologiche o timori elettorali. Ma adesso è il momento di entrare nel vivo dei problemi e di passare dalle parole ai fatti, visto che di promesse, gli operatori, ne hanno sentite fin troppe.
Anche se il nuovo esecutivo sembra già dimostrare tanta concretezza anche nei fatti o, almeno, nei tentativi: come quello già avviato dal Ministro allo Sport, Andrea Abodi, che già parla di intervento sulle scommesse e sulla pubblicità dei giochi, dopo aver già valutato il tema all'indomani del suo insediamento. In tempi praticamente da record. Ma anche qui, l'esperienza insegna: ben venga quindi un intervento su giochi anche in connessione allo sport, ma che non sia il solito intervento “spot” o la classica “toppa” su una coperta fin troppo logora, che abbia solo lo scopo di prelevare denari dal settore. Bene invece se l'input proveniente dallo sport possa servire da stimolo verso la realizzazione di una riforma generale, mettendo tra i vari obiettivi anche quello di destinare una parte di risorse a quelle attività.