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I grandi giochi sulla manovra e le grandi manovre sui giochi

27 dicembre 2023 - 11:42

Anche il 2023 si chiude nel chiasso più totale, delle aule del Parlamento ma anche nell'industria dei giochi: tra una manovra infuocata e una presunta riforma dell'online ancora più scottante.

E' un fine anno decisamente infiammato quello che accompagna verso il secondo anno della XIX legislatura, attraverso l'emanazione della seconda Manovra finanziaria firmata dell'esecutivo di Giorgia Meloni. E lo è anche per il comparto del gioco pubblico: per il quale, come noto, ogni fine anno rappresenta da sempre un momento critico, per via dei soliti “appetiti” della politica che, in cerca di risorse, è abituata a puntare sui giochi per fare cassa. O comunque a provarci. Solo che stavolta, nonostante la manovra non sembra (pre)occuparsi del comparto, a intervenire è comunque il governo, sia pure per altre vie: anticipando cioè un pezzo della riforma prevista dalla legge di delega fiscale, per provare a mettere al bando le nuove concessioni per il gioco online, passando per il Consiglio dei Ministri (e, quindi, per il Parlamento), invece di ricorrere alla Finanziaria. Come abbiamo ampiamente documentato in questi giorni, anticipando anche i contenuti del futuro testo di legge. Un modo, quindi, potenzialmente più diretto ed efficace per arrivare al risultato, piuttosto che infilare anche questa gara nel calderone della (assai discussa) legge di Bilancio. In effetti, il clima generale nelle aule parlamentari è decisamente infuocato. Non soltanto per il ritardo e la mancanza di discussione sui grandi temi di politica economica inseriti nella prossima manovra, come del resto rientra ormai nella più triste delle abitudini del nostro paese: ma anche per via del terribile incrocio che si è avuto in queste ultime ore tra l'iter (sgangherato) per l'approvazione della stessa Legge di Bilancio e quello della riforma del Mes. Dopo che, come noto, la maggioranza ha espresso il proprio voto (sfavorevole) che ha bloccato la ratifica della riforma del Mes: il Meccanismo europeo di stabilità - chiamato anche Fondo salva Stati - che rappresenta un fondo dotato di ingenti risorse che serve a sostenere i Paesi dell'euro in temporanea difficoltà, a fronte di precisi impegni sulla politica economica e di bilancio. Un voto potenzialmente pesante, in termini di rapporti con l'Europa, che è sempre meglio rispetto all’idea iniziale di mettere un veto sulla decisione, da parte del nostro paese, che è stata accantonata perché ritenuta troppo rischiosa, sapendo che l'Italia deve continuamente reperire risorse sul mercato finanziario per le quali già paga salati interessi, ma che comporta comunque una perdita di credibilità per il nostro contingente visto che l’Italia nel 2020 e poi nel 2021 si era impegnata a ratificare la riforma del Meccanismo. Con tanto di assicurazioni che aveva dato ripetutamente il ministro dell’Economia italiano ai partner europei e la stessa premier che in più occasioni parlando di “logica a pacchetto” aveva legato il via libera al Salva Stati all’approvazione del nuovo Patto di stabilità.
Una scelta, quindi, che appare una sorta di gioco d'azzardo da parte dell'esecutivo, probabilmente legato al clima di campagna elettorale che già si respira nei palazzi romani in vista delle prossime politiche europee. Ma la scelta costa comunque cara anche in termini di politica interna, visto che la decisione ha fatto infiammare le opposizioni, le quali invocano addirittura le dimissioni del Ministro dell'Economica. “Il Parlamento ha chiesto al ministro di parlare di Mes e Patto di stabilità - osserva Luigi Marattin, di Iv - e ci aspettiamo che parli di questo: in una repubblica parlamentare funziona così”. Mentre Marco Grimaldi, di Avs, dice “vogliamo ci spieghi, alla luce del nuovo Patto, come la legge di bilancio e le politiche economiche del governo possano evitare un disastro sociale”. Le incognite sono tante anche secondo la dem Maria Cecilia Guerra: “Il nuovo Patto è meno flessibile di quanto sperava il governo, questo avrà ricadute rilevanti sulla leggi”. Ed è in questo clima che governo e parlamento devono portare a termine l’approvazione della manovra entro la fine dell’anno, ovvero entro la settimana corrente. Concludendo in commissione l’esame degli emendamenti per portare il testo in Aula: sostanzialmente senza alcuni spazio per i quesiti delle opposizioni. Per una manovra (ancora una volta) blindata dalla maggioranza. Il testo che ha ottenuto l’ok del Senato consta di 109 articoli e la maggioranza alla Camera potrà sostanzialmente solo approvarlo. Per una storia di cui si conosce già il finale, con un voto di fiducia che comunque arriverà, nonostante tante grida, urli e schiamazzi che lo accompagneranno.
Ebbene, in questo clima a dir poco rovente che abbiamo appena descritto, il governo ha pensato bene di portare avanti anche il percorso di (presunta) riforma del gioco online, anticipando una parte di quello che doveva essere il riordino generale del comparto inserito in uno speficio articolo della legge di delega fiscale, estrapolandone la parte relativa al gaming online, provando a imbastire la futura gara per il rinnovo delle concessioni: un percorso, questo, già approvato in prima lettura dal Consiglio dei Ministri e che, se confermato dal Parlamento, dovrebbe portare all'emanazione della prossima gara entro il 2024. Con la definizione del nuovo testo che potrebbe arrivare già alla fine del primo semestre, una volta superato il vaglio di Bruxelles (come previsto dalla prassi comunitaria per le norme di tipo tecnico) e quello del Consiglio di Stato. Con l'unico scoglio che potrebbe emergere in sede di trattazione europea, visto che l'impostazione della gara prevista dall'esecutivo Meloni ha già sollevato qualche critica non solo in patria, ma anche in Europa, come evidenziato dall'Egba. La gara impostata dal Mef vedrebbe l'Italia diventare il mercato di gaming più costoso del Vecchio Continente in termini di autorizzazioni, per un possibile freno alla competitività e alla partecipazione all'interno dell'Unione: ma del resto quello del nostro paese rappresenta comunque anche il più ricco e redditizio per gli stessi operatori, con notevoli possibilità di crescita nei prossimi dieci anni all'interno dei quali andranno a operare le future concessioni. Motivo per il quale un pezzo dell'industria si è detto disponbile a ragionare: per una riforma che appare quindi decisamente divisiva. Per un serie di temi, dunque, che chiederebbero una visione chiara e una strategia oculata, prima di riscrivere le regole del gioco, invece delle grandi manovre di palazzo a cui si assiste oggi, che rischiano soltanto di compromettere il futuro del comparto.

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