Terni digital week, Panel esports: serve competenza, i videogame non sono un must
Dal panel sugli esports organizzato da GiocoNews e Esportsmag all'evento di Terni emerge la necessità di trovare un giusto bilanciamento tra competizione e intrattenimento, ma conoscere i videogiochi non è essenziale.
Per lavorare negli esports non è essenziale conoscere i videogame, servono piuttosto conoscenre e competenze, anche manageriali. E chi proviene da realtà sportive può trovarsi favorito, dato che sports e esports sono più vicini di quel che si possa pensare.
Sono alcuni degli spunti di riflessione emersi dal panel "Esports, videogame e nuove forme di occupazione", realizzato stamani, 14 ottobre, a GiocoNews e Esportsmag nell'ambito della Terni digital week.
All'incontro hanno partecipato Ivan Ballestrazzi, ceo & co-founder Exeed, Luca Pagano, amministratore delegato di Qlash, e Andrea Planamente, esports director dei Macko e, sempre dei Macko, la team manager Elenoire "Lilith" Scaletta. A moderare l’incontro il nostro redattore e collega Francesco “Deugemo” Lombardo. Un incontro importante per far conoscere meglio questa industria in crescita, fatta di tante persone che lavorano con i videogiochi ma con la consapevolezza che "il nostro mestiere è tutto meno che un gioco", come ha ben spiegato Luca Pagano.
Alla base, ovviamente, c'è chi gioca. "La gente gioca, e gioca tanto", spiega Planamento nel suo intervento, "noi siamo un’azienda molto giovane, nata durante la pandemia, abbiamo scoperto che al Sud c’è stata una grandissima richiesta positiva, anche durante gli ultimi europei moltissime persone sono arrivare da moltissime zone del Sud per seguire i ragazzi che giocavano. E andare in giro per Monopoli (Ba), con i ragazzi che ti fermano e ti ricoscono e ti dicono 'noi vi tifiamo' fa molto piacere. Ora poi abbiamo avuto contatti anche con il sindaco, che si è detto interessato a collaborare con noi per creare contatti anche con le scuole, per far capire ai ragazzi che i videogiochi non sono un mostro, ma un opportunità".
Cosa fanno i ragazzi che lavorano negli esports, lo spiega Elenoire “Lilith” Scaletta, che racconta di un lavoro che si sviluppa principalmente nel pomeriggio, quando "si fanno review con il coach, ci si allena, mentre si gioca principalmente alla sera. È importante anche giocare da soli, per migliorare le meccaniche di gioco".
Ma chi può lavorare negli esports? E occorre essere appassionati di videogiochi per approcciarsi a questo mondo? Secondo Luca Pagano "sicuramente chi viene dal mondo dello sport tradizionale capisce meglio il leitmotiv degli esports. Stiamo parlando di competizioni e di comunicare un’esperienza sportiva.
Per questo credo che dal mondo dello sport tradizionale si possono attingere diverse competenze, perché il mondo dello sport è molto più vicino di quello che possiamo immaginarci". Nota quindi che "oggi gli sport come sono molto intrattenimento, ed è quello che vedo che sta succedendo anche negli esports, ed è quello che dovrebbe probabilmente svilupparsi di più: fare un po’ di storytelling attorno alla vita del giocatore". Mentre sul tema della formazione spiega che "c’è ancora tanto da fare a livello di formazione per quello che riguarda gli esports manager, ma vedo sempre più corsi strutturati".
Di certo "non bisogna essere un appassionato di videogiochi per lavorare nel mondo esports", assicura il ceo di Exeed, Ballestrazzi. "Trovo che l’appassionato di videogiochi, con carriere sviluppate, strettamente legate al territorio esports italiano, presenti poi delle lacune, questo perché i ragazzi non sono mai entrati in contatto con il 'lavoro vero', mi si passi il termine. Molti pensano di arrivare con la passione laddove mancano le basi tecniche, ma non è così".
E concorda con Pagano che "c’è molta affinità tra esports e sport tradizionale, soprattutto in Italia, perché oltre al calcio qui i principali elementi di intrattenimento non sono tantissimi.
Ma quali sono le professioni negli esports? Oltre al player, che spesso corrisponde con il content creator ci sono varie figure, legate all'area competitiva (come coach e team manager) e altre destinare all'are amministrativa. Cosa fa, ad esempio, un esports director, lo spiega Andrea Planamente, illustrando che "le organizzazioni iniziano a essere suddivise in comparti: io gestisco i budget, cerco di definire qual è il titolo su cui conviene investire, capire quali figure possono servirci (facendo quindi anche un po’ di scouting), ma adesso stiamo aggiungendo anche una parte content che stiamo strutturando, e sto cercando figure che vadano a gestire anche l’intrattenimento secco".
Quindi è Pagano a spiegare che i tre pilastri del sistema esports sono competizione, content creator, organizzazione tornei: "Cerchiamo di trovare il giusto equilibrio tra questi tre elementi", dice, "c’è l’hero, il proplayer, quello nel quale i ragazzi si identificano, ma a lui devi dare la possibilità di competere, di mettersi alla prova. Difficile trovare la formula giusta. Gli ingredienti li conosciamo, ma la giusta ricetta dobbiamo ancora trovarla, anche perché cambia da paese a paese: in Asia la parte competitiva copre il 90 percento, mentre in Italia la dimensione è molto diversa".
C'è poi l'aspetto del rapporto tra organizzazione esportiva e brand e partner, che secondo Planamente è molto migliorato dopo il periodo pandemico. “Prima ti valutavano come azienda standard, ma usando gli stessi parametri un mondo pionieristico come il nostro non può reggere. In tal senso il covid ci ha dato una mano, portandoci a trovare un metodo di comunicazione migliore. Ora non si va più a cercare una quadra brancolando nel buio, ma ora si riesce già a trovare un qualcosa che possa far funzionare l’accordo”.
Relativamente all'interesse della politica è ancora Pagano a spiegare che "la politica si sta interessando al settore, ma credo sia più per il fatto che sente di aver bisogno di pagare a un giovane. Dall’altra forse iniziano a vedere l’opportunità di dettare regole a un settore, e magari farlo crescere. Si tratta comunque di un settore che crea lavoro, e crea ricchezza. Da quell’appuntamento sono tornato a casa soddisfatto perché anche la politica guarda agli esports, significa che siamo nell’industry giusta.”
Certo, parlando di regolamentazione “dobbiamo trovare prima una regolamentazione interna", spiega Ballestrazzi. "Vedo spesso seduti allo stesso tavolo player che hanno caratteristiche completamente diverse: bisogna innanzitutto distinguere cosa è un player professionista rispetto a un amatore, rispetto ad una startup", spiega parlando di una recente esperienza dove un team Exeed si è trovato di fronte a un team francesce, forte di un riconoscimento politico e di un sistema normativo molto ben strutturato dal governo d'Oltralpe. "Prima di un riconoscimento bisogna definire cosa può essere un’azienda che cerca di far parte di un mercato. Definito questo serve in primis un riconoscimento su percorsi formativi chiari, non solo corsi privati dove ognuno racconta la propria realtà, ma una formazione professionale che le istituzioni dovrebbero normare, dando un titolo di studio e delle garanzie alle aziende, così come anche alle famiglie”.