Legge gioco Trento, Trga: 'Né contrasto con la Costituzione, né effetto espulsivo'
Con una serie di sentenze – che qui mettiamo a confronto - il Trga Trento conferma che la legge provinciale n° 13/2015 non preclude lo svolgimento dell’attività di gioco, ma si limita ad imporne la delocalizzazione.
La sentenza riguardante il comune di Malé non è stata l'unica emessa nelle scorse ore dal Tribunale regionale di giustizia amministrativa della Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol a proposito dell'effetto espulsivo per il gioco legale della vigente normativa della Provincia di Trento in materia.
I giudici infatti si sono espressi anche a proposito dei ricorsi mossi da alcuni esercenti – difesi, separatamente, dagli avvocati Michele Bussetti e Geronimo Cardia – contro l'applicazione di tale disciplina da parte del Comune di Trento e i provvedimenti per l'immediata rimozione degli apparecchi da gioco presenti nelle loro sale o bar, in quanto troppo vicine a “luoghi sensibili”.
Come per Malè, “risulta pertanto ulteriormente avvalorata la conclusione di insussistenza dell’effetto espulsivo cui è pervenuto il verificatore” del Dipartimento Architettura, ingegneria delle costruzioni e ambiente costruito – Dabc del Politecnico di Milano e “non ha miglior sorte l’argomento secondo cui il verificatore avrebbe dovuto applicare non solo il metodo del raggio in linea d’aria bensì pure il criterio del percorso pedonale”.
Quindi nelle due sentenze riguardanti gli esercenti difesi da Geronimo Cardia si legge: “Si consideri, infatti, che la verificazione, che ha puntualmente replicato a tutte le critiche formulate dal consulente di parte, le quali pertanto non ne scalfiscono la portata fondamentale al fine del decidere la controversia, mette in luce 'che le aree potenzialmente e astrattamente ospitali le funzioni del gioco d’azzardo lecito….. occupano una superficie di circa 712,4 ha…… si tratta di un dato che rappresenta il 22,4 percento del territorio urbanizzato (3.185 ha), che a sua volta rappresenta circa il 4,5 percento dell’intero territorio comunale (15.785 ha)'. L’analisi evidenzia, inoltre, che anche sottraendo in via prudenziale il 50 percento del territorio nella presunzione della presenza di caratteristiche insediative e di urbanizzazione che rendono improbabile la localizzazione delle funzioni del gioco d’azzardo (aree resistenti), residua una superficie di complessivi 356,2 ha, pari all’11,2 percento del territorio comunale urbanizzato, idonea all’insediamento delle attività di gioco lecito (aree ospitali), comprendenti ambiti a destinazione prevalentemente residenziale e aree a destinazione produttiva-artigianale. La verificazione precisa anche che rapportando i circa 356,2 ha delle aree che possono ospitare l’insediamento delle attività del gioco lecito alla dimensione dell’intero territorio comunale (che oltre ai tessuti urbanizzati comprende peraltro anche il sistema dei territori a valenza ambientale e rurale) la percentuale risulta pari al 2,2 percento”.
Di nessun pregio risulta pure l’argomento che attiene al contrasto con l’Intesa tra Stato e Regioni del 7 settembre 2017, la quale mirerebbe a distribuire il gioco legale su tutto il territorio dello Stato in maniera tale da coniugare la sua necessaria riduzione con la capillare ed equilibrata distribuzione del servizio.
Quanto alle possibilità di delocalizzazione, il Collegio evidenzia che “il congruo termine – di 7 anni - concesso dal legislatore provinciale agli operatori economici, per la ricollocazione sul territorio della propria attività, ha costituito un equo contemperamento tra le esigenze di tutela della salute e l’esercizio del diritto di iniziativa economica”.
Nella sentenza in merito al ricorso dell'esercente difeso dall'avvocato Michele Busetti – il gestore di un bar - ovviamente vengono riportati gli stessi numeri sulla percentuale di territorio comunale disponibile per l'insediamento delle attività di gioco, e vengono riportate alcune osservazioni sull’operato del verificatore: “Considerare il terreno urbanizzato anziché i lotti effettivamente disposti sul territorio e realmente insediabili fa commettere un errore di non modesta entità, infatti, se rapportiamo il territorio insediabile da Prg – Piano regolatore generale all’espansione comunale otteniamo una percentuale pari a 9,7 percento, mentre se rapportiamo il terreno urbanizzato all’espansione comunale otteniamo una percentuale pari a 20,2 percento. Questa differenza pari a 10,5 percento non è indifferente, infatti in base al sistema di riferimento scelto le percentuali ottenute variano di conseguenza. Nonostante ciò questo +10,5 percento è rappresentato da viabilità, zone attrezzate pubbliche, zone ferroviarie, etc. ..., luoghi che a prescindere da un parere soggettivo non possono essere conteggiate ai fini del totale delle aree insediabili. Questo porta pertanto a considerare un’area maggiore rispetto a quella effettiva alterando in maniera sostanziale il risultato finale”.
La parte ricorrente inoltre contesta che la percentuale delle cosiddette “aree astrattamente insediabili” (ossia le aree nelle quali potrebbero essere delocalizzate attività come quella svolta dalla medesima parte ricorrente) “sia stata calcolata dal verificatore utilizzando come parametro di riferimento solamente il territorio urbanizzato. Tale metodo di calcolo, a detta della parte ricorrente, non è corretto perché questo Tribunale con l’ordinanza n° 37 del 2022 ha chiesto di verificare se la normativa provinciale 'determini una sostanziale preclusione ... sull’intero territorio comunale'”.
Osservazioni a cui replica la Provincia di Trento e pure il Comune di Trento, evidenziando che il “calcolo della distanza effettuato secondo il criterio del tragitto pedonale tra la sala giochi e i luoghi sensibili non porterebbe comunque ad esiti differenti da quelli che si ottengono utilizzando il criterio del raggio in linea d’aria e in tutte le direzioni”.
Il Trga Trento ribadisce che “ il criterio per il calcolo della distanza di 300 metri è stato fissato dalla Provincia di Trento con la circolare prot. n° 491566 del 21 settembre 2016 al precipuo 'fine di assicurare l’applicazione di un criterio uniforme su tutto il territorio provinciale'; e, ciononostante, tale circolare non figura tra i provvedimenti impugnati con il ricorso in esame. Inoltre, come eccepito dal Comune di Trento, la parte ricorrente comunque non ha interesse all’esame del secondo motivo perché anche utilizzando il criterio del percorso pedonale la distanza tra l’entrata del bar e l’entrata della scuola dell’infanzia (il 'luogo sensibile' per cui è scattata l'applicazione del distanziometro, Ndr) è di poco superiore ai 150 metri”.
Passando alla questione di legittimità costituzionale incentrata sull’incompatibilità del c.d. “effetto espulsivo” prodotto dalla legge provinciale n° 13/2015 con l’art. 41 Cost., postulata dal ricorrente, per i giudici amministrativi “giova preliminarmente rammentare che tale articolo - nel riconoscere la liberà di iniziativa economica - dispone che la stessa non può 'svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana', e ammette che la legge possa indirizzare e coordinare 'a fini sociali ed ambientali' l’attività economica privata e pubblica”.
Non è condivisibile, per il Trga Trento, neppure il motivo con cui il ricorrente contesta l’individuazione dei luoghi sensibili operata dal verificatore, in quanto egli “non avrebbe dovuto accertare autonomamente i luoghi sensibili presenti sul territorio comunale”, onere che compete alle Amministrazioni comunali.
Infondate sono anche “le ulteriori osservazioni formulate dall’odierna parte ricorrente con la memoria depositata in data 16 febbraio 2023, secondo la quale il verificatore, ai fini del calcolo della percentuale del territorio comunale in cui trova applicazione il divieto di cui all’art. 5, comma 1, della legge provinciale n° 13/2015, avrebbe erroneamente utilizzato come parametro di riferimento il solo territorio urbanizzato del Comune di Trento”.
In definitiva, si legge nella parte finale della sentenza, “risulta manifestamente infondata la prospettata questione di legittimità costituzionale degli articoli 5, comma 1, e 14, comma 1, della legge provinciale n° 13/2015 per contrasto con l’art. 41 Cost..
Difatti, come nei casi oggetto delle citate pronunce del Consiglio di Stato n° 1618 del 2019 e n° 11426 del 2022, anche nel caso in esame la relazione del verificatore ha evidenziato la persistente sussistenza di aree potenzialmente insediabili nel territorio del Comune di Trento. Deve, quindi, escludersi che la contestata disciplina provinciale determini, di per sé, l’espulsione dell’impresa ricorrente dal mercato.
Né giova alla parte ricorrente, per indurre il Collegio a sollevare la questione di legittimità costituzionale ora in esame, estendere il rilievo relativo all’effetto asseritamente espulsivo della legge provinciale n° 13/2015 al territorio di altri Comuni della Provincia di Trento, né tantomeno rimarcare la facoltà, riconosciuta ai Comuni dall’art. 5, comma 2, della medesima legge provinciale, di estendere la distanza dai luoghi sensibili sino a 500 metri, in luogo dei 300 metri oggi previsti. Difatti con riferimento ad entrambi tali profili difetta evidentemente il necessario requisito della rilevanza della questione di legittimità costituzionale”.
In conclusione, ”risulta, quindi, confermato che la Provincia di Trento aveva comunque titolo per prevedere, nell’esercizio della propria potestà legislativa, anche misure più restrittive di quelle eventualmente previste dal legislatore statale”.