Corte d'appello di Perugia: 'Omesso versamento tassa 500 milioni, non è peculato'
La Corte d'appello di Perugia assolve un gestore di apparecchi Awp dall'accusa di peculato per l'omesso versamento della quota – la cosiddetta 'tassa dei 500 milioni' – prevista dalla legge di Stabilità 2015.
Una nuova pronuncia in tema di peculato per l'omesso versamento del contributo “legge Stabilità 2015”, la cosiddetta “tassa dei 500 milioni”, è stata emessa dalla Corte di appello di Perugia, che ha assolto l’imputato, titolare di una ditta che aveva la gestione di apparecchi Awp, difeso dagli avvocati Marco Gambuli e Giovanni Giuntini di Perugia.
Il procedimento penale aveva preso avvio da una denuncia querela sporta dal concessionario che lamentava l'omesso versamento in proprio favore della quota legge stabilità 2015 per il periodo compreso tra il gennaio ed il settembre 2015.
Il Pm aveva chiesto il rinvio a giudizio dell’imprenditore con l’accusa di appropriazione del denaro pubblico che era nella sua disponibilità per l’attività di gestione di apparecchi da divertimento e intrattenimento da questi svolta, pari ad € 32.774,77, senza versarli al concessionario, che a sua volta avrebbe dovuto versarli all'Erario.
In primo grado, al termine di giudizio abbreviato, il Gip di Perugia aveva condannato l’imputato per il reato di peculato a un anno, nove mesi e 10 giorni di reclusione, oltre all'interdizione temporanea dai pubblici uffici per un anno ed alla confisca dei beni sequestrati (un'auto e tutti i conti correnti) e di ogni altro bene di cui avesse la disponibilità fino concorrenza della somma di cui si era appropriato, nonché al risarcimento del danno in favore del concessionario che si era costituito parte civile.
La Corte d’appello umbra nella propria recente decisione ha completamente ribaltato l’orientamento del Tribunale ed ha assolto il titolare della ditta, su conforme richiesta del Procuratore generale che ha chiesto l’accoglimento dell’appello dell’imputato.
La formula assolutoria impiegata dalla Corte è “il fatto non costituisce reato”, sottintendendo l'assenza di dolo o, comunque, la sussistenza di un errore scusabile del gestore rispetto alla norma che prevedeva l'obbligo di versamento.
In attesa di conoscere le motivazioni (il termine per il relativo deposito è di giorni 90 giorni), dal dispositivo si può ipotizzare che la Corte abbia recepito la tesi della difesa che, tra i molti argomenti sollevati (anche richiamando la recente pronuncia della Corte di giustizia dell’Unione europea del 22.09.2022), aveva sostenuto come quello in questione rappresentasse un caso emblematico di errore inevitabile sulla legge extrapenale ex art. 47, comma 3 c.p., oltre che di totale inconoscibilità della legge applicabile.
Come noto, la norma in questione, introdotta con la finanziaria 2015, aveva subìto vicende complessissime: subito dopo la sua entrata in vigore era stata sottoposta al vaglio della Consulta per sospetta incostituzionalità; era poi stata modificata dal Legislatore l'anno successivo con norma di interpretazione autentica; infine era stata impugnata innanzi alla Corte di giustizia europea, che aveva ravvisato profili di grave criticità.
La sentenza della Corte d’Appello sembra finalmente affermare la non rimproverabilità in capo al gestore dell’omesso versamento di un tributo, la cui portata applicativa risulta ampiamente incerta ancora oggi, a otto anni dalla sua introduzione.
Dopo cinque durissimi anni di procedimento penale, il gestore, che nel frattempo era stato posto nella sostanziale impossibilità di lavorare per i sequestri che avevano colpito il suo patrimonio, vede finalmente riconosciute le sue ragioni.
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