“Il provvedimento impugnato non dispone la chiusura dell’attività di che trattasi, limitandosi a stabilire che tale chiusura sarà disposta da un futuro provvedimento e ciò nel caso in cui non venga presentata apposita istanza di delocalizzazione e, dunque, lo stesso provvedimento, in disparte la circostanza per cui in data 20 febbraio 2018 un funzionario comunale si era recato in loco per procedere alla misurazione della distanza della sala dal luogo sensibili individuato, così dando atto a parte ricorrente della problematica relativa alla distanza della sala dalla piscina comunale, non costituisce un provvedimento di chiusura come, invece, ritenuto da parte ricorrente”.
Questa è una delle motivazioni con cui il Tar Emilia Romagna respinge il ricorso presentato dal legale rappresentante della società di gestione di una sala giochi-scommesse per l'annullamento dei provvedimenti con i quali il Comune di Novellara (Re) gli aveva comunicato la violazione del distanziometro regionale e la chiusura dell'attività entro sei mesi, restando “ferma la possibilità di presentare istanza di delocalizzazione in luogo posto ad adeguata distanza dai luoghi sensibili con conseguente possibilità di proroga di ulteriori sei mesi dell’attività svolta nella sede” originaria.
Per i giudici amministrativi è infondato il motivo di ricorso secondo cui parte ricorrente deduce l’illegittimità dei provvedimenti impugnati in quanto “Il Comune, con il provvedimento impugnato, è venuto ad interferire con quanto assentito dal questore, arrogandosi competenze spettanti, ai sensi del Tulps, esclusivamente allo stesso. In effetti, così come il questore aveva autorizzato l’attività di raccolta scommesse presso l’esercizio, avrebbe dovuto spettare, rientrando nelle sue competenze esclusive, al questore disporre/ordinare la chiusura della sala scommesse nella detta sede. In breve, il Comune si è assunto una funzione estranea ai suoi compiti, scavalcando la Pubblica amministrazione espressamente al riguardo investita, che è stata totalmente ignorata”.
A tal proposito il Collegio osserva che “i poteri del questore nella materia dell’ordine pubblico esulano dalla presente vicenda, in cui il Comune ha legittimamente esercitato i propri (autonomi) poteri finalizzati alla tutela della salute pubblica, come già statuito, in un caso perfettamente sovrapponibile al presente”, dallo stesso tribunale con una sentenza del 2020, in cui si evidenzia: “La norma regionale si muove su un piano distinto da quella del Tulps. Per quanto si è detto, essa non mira a contrastare i fenomeni criminosi e le turbative dell’ordine pubblico collegati al mondo del gioco e delle scommesse, ma si preoccupa, «piuttosto, delle conseguenze sociali dell’offerta dei giochi su fasce di consumatori psicologicamente più deboli», segnatamente in termini di prevenzione di 'forme di gioco cosiddetto compulsivo' (sentenza n. 300 del 2011). In quest’ottica, la circostanza che l’autorità comunale, facendo applicazione della disposizione censurata, possa inibire l’esercizio di una attività pure autorizzata dal questore – come nel caso oggetto del giudizio principale – non implica alcuna interferenza con le diverse valutazioni demandate all’autorità di pubblica sicurezza”.
Bocciato anche il terzo motivo di ricorso, con cui parte ricorrente deduce l’illegittimità dei provvedimenti impugnati in quanto “le nuove disposizioni non possono essere di applicazione retroattiva” ma ciò sarebbe “quello che è avvenuto nella fattispecie, nella quale, a ben vedere, l’effetto concreto provocato dal provvedimento comunale è riassumibile, in primis, nella revoca della autorizzazione del questore, che è stata posta in totale non cal.”.
Per il Tar Emilia Romagna “nella presente vicenda non sussiste alcuna applicazione retroattiva delle disposizioni in materia di ludopatia, essendo le stesse applicate ad una situazione presente di pericolo per la salute pubblica e consistente nella vicinanza della sala scommessa ad un luogo sensibile. In particolare, il Collegio osserva che, rispetto alla pretesa applicazione retroattiva della normativa regionale nel presente caso (circostanza, peraltro, semplicemente asserita da parte ricorrente senza un’articolata argomentazione in merito) risultano del tutto condivisibili le argomentazioni già espresse da questo Tribunale con la sentenza n. 102 del 22 aprile 2022, secondo cui la normativa regionale posta alla base del provvedimento impugnato 'pianamente istituisce un divieto di esercizio delle attività ivi puntualmente menzionate se svolte in locali posti a meno di 500 metri dai luoghi sensibili e, dunque, sarebbe del tutto irragionevole che tale divieto valesse unicamente per le nuove attività e non anche quelle già in essere atteso che tali attività risultano pregiudizievoli per la salute pubblica in quanto svolte in luoghi troppo vicini a 'luoghi sensibili' (ossia entro i 500 metri di distanza da essi)”.