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Limiti orari al gioco, CdS: 'Richiesta danni spetta a titolare licenza Tulps'

05 ottobre 2022 - 10:32

Il Consiglio di Stato chiarisce che l'unico legittimato a chiedere un risarcimento danni rispetto ai limita orari agli apparecchi da gioco è il titolare di autorizzazione ex art. 86 e 88 Tulps.

Scritto da Fm

Foto © Tingey in jury law firm / Unsplash

“Nell’ipotesi di specie, essendo la gravata ordinanza diretta a limitare gli orari di esercizio dei soggetti titolari di autorizzazione ex art. 86 e 88 Tulps per l’esercizio del gioco lecito, la titolarità dell’interesse legittimo, anche in chiave di reazione processuale, non può che intendersi spettante ai soli soggetti titolari della predetta autorizzazione, non potendo per contro rilevare nei rapporti con la Pubblica amministrazione – né in un’ottica sostanziale, né in un’ottica processuale – il distinto diritto soggettivo alla compartecipazione agli utili discendenti dai contratti stipulati dall’impresa individuale con l'unico titolare della licenza ex art. 88 Tulps per l’esercizio dell’attività del gioco lecito nei locali di cui è causa, e pertanto legittimato all’impugnativa”.

A sottolinearlo è il Consiglio di Stato nella sentenza con cui rigetta l'appello proposto da una ditta individuale proprietaria di una sala Vlt ubicata all'interno di un bar, avverso la sentenza del Tar Emilia Romagna, che nel 2021 aveva dichiarato irricevibile il ricorso della prima e inammissibile quello del titolare del bar, volto all’annullamento dell’ordinanza varata dal sindaco di San Prospero  (Mo) due anni prima per introdurre limitazioni orarie al funzionamento degli apparecchi da gioco.

Respinta al mittente la richiesta avanzata dai due di condannare il Comune a ristorare a ciascuno di essi il danno separatamente sofferto e causalmente collegato alle imposte restrizioni orarie di esercizio delle Awp e delle Vlt dislocate nella sala.

Nella trattazione del merito, i giudici del Consiglio di Stato sottolineano che la legittimazione ad impugnare l’ordinanza era in capo al solo gestore del bar, “titolare di una posizione differenziata e qualificata al cospetto della Pubblica amministrazione, in quanto esercente l’attività di gioco lecito nella sala de qua in forza dell’autorizzazione ex art. 88 Tulps allo stesso rilasciata, a nulla rilevando la circostanza che la società proprietaria della sala giochi, goda di una compartecipazione agli utili derivanti dagli introiti della medesima, sia per gli apparecchi Awp che per quelli Vlt, in forza di un rapporto privatistico, rispetto al quale il Comune è del tutto estraneo in quanto 'res inter alios acta, tertio neque nocet neque prodest' (il contratto, mentre ha forza di legge tra le parti, non può arrecare né pregiudizio né giovamento ai terzi estranei, Ndr)”.

Inoltre, alcuna rilevanza, si legge ancora nella sentenza del CdS, “assume la circostanza che nei due contratti stipulati – non rilevanti per la Pubblica amministrazione - si operi una distinzione fra la posizione del gestore, assegnata alla società titolare della sala, e la posizione dell’esercente/gestore, assegnata al titolare del bar, posto che l’attività di gioco lecito deve intendersi effettuata nella sala de qua in forza dell’autorizzazione ex art. 88 del Tulps – peraltro richiamata nei citati contratti - che, come noto, ha carattere strettamente personale, essendo un’autorizzazione di polizia. Ciò senza mancare di rilevare che agli atti di causa non risulta prodotta l’autorizzazione ex art. 88 Tulps rilasciata al titolare del bar per l’asserita attività di gestione riferita ai locali di cui è causa e che nell’atto di appello in alcun modo viene richiamata detta autorizzazione a sostegno della legittimatio ad causam – non essendo contestato il capo della sentenza appellata che ha evidenziato come solo lui sia titolare dell’autorizzazione ex art. 88 Tulps per l’’esercizio dell’attività nei locali de quibus - facendosi mero riferimento al diritto alla compartecipazione agli utili derivanti dai contratti inter partes”.

Per contro “la domanda risarcitoria spiegata dalla titolare della sala dedicata deve considerarsi inammissibile, stante l’assenza in capo alla stessa di un interesse legittimo, nel senso innanzi precisato, dovendo il risarcimento del danno ex art. 30 Codice di procedura amministrativa qualificarsi quale mera tecnica di tutela dell’interesse legittimo. Pertanto unico legittimato alla proposizione della domanda risarcitoria per gli interi danni subiti deve intendersi il titolare del bar, potendo per contro, in esito all’accoglimento di tale domanda, la società rivalersi nei suoi confronti per la parte di risarcimento afferente gli introiti di sua spettanza, in forza dei contratti inter partes”.


Infine, concludono i giudici, “deve rilevarsi come la domanda risarcitoria non sia in ogni caso fondata, stante la mancata allegazione e prova da parte degli appellanti di tutti gli elementi costitutivi della responsabilità aquiliana in capo al Comune ed in primis l’assenza di prova in ordine alla spettanza del bene della vita. Infatti l’unica censura articolata da parte appellante che in qualche modo potrebbe postulare la “spettanza del bene della vita” ovvero l’esercizio del gioco senza i limiti orari prescritti dalla gravata ordinanza è quella relativa all’irragionevolezza della stessa, per avere fissato i predetti limiti orari anche in relazione agli apparecchi ex art. 110 comma 7 lettera a) Tulps; detta censura peraltro non può intendersi in alcun modo connessa con la pretesa risarcitoria spiegata nell’odierna sede, relativa solo ai minori introiti delle giocate derivanti dagli apparecchi Awp e dagli apparecchi Vlt ubicati nella sala di cui è causa, che rientrano negli apparecchi ex art. 110 comma 6 del Tulps. Ciò senza mancare di evidenziare che i danni lamentati da parte appellante avrebbero potuto essere evitati ove il titolare della licenza Tulps avesse tempestivamente azionato il rimedio impugnatorio, laddove per contro Egli, incorrendo nell’evidenziata decadenza, non ha potuto avvalersi del rimedio in forma specifica dato dall’annullamento dell’ordinanza sindacale di cui è causa. Pertanto la domanda risarcitoria non risulta fondata neanche sotto questo profilo, dovendosi fare applicazione del combinato disposto di cui agli artt. 30 comma 3 Cpa e 1227 Cc nel senso precisato dal noto arresto della sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 3/2011”.

 

 

 

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