In Cina prosegue la lotta aspra al settore dei videogiochi
La Cina continua la sua strenua lotta contro il settore dei videogiochi e le aziende volano all'estero.
Avevamo già scritto della strenua lotta della Cina al settore dei videogiochi partita dal primo settembre del 2021. Non a caso l’ultimo titolo approvato dal regolatore risale a luglio dello scorso anno, quando le aziende avevano già capito che nelle settimane successive non avrebbero più avuto la possibilità di mettere nuovi giochi sul mercato che, manco a dirlo, è enorme. E secondo gli ultimi rapporti esteri il settore dei videogiochi sarebbe in crisi in Cina. Gran parte delle case di sviluppo ha chiuso i battenti mentre altre cercano riparo all’estero.
Del resto le regole sono davvero assurde. Dal primo settembre si gioca al massimo 3 ore complessive alla settimana e, dal venerdì alla domenica, solo dalle 20 alle 21. Alle aziende che offrono questo tipo di intrattenimento è richiesto di certificare età e identità dei giocatori, anche con strumenti tecnologici innovativi, come il controllo facciale, oltre alla richiesta di registrazione con nome reale. Qualcuno sarebbe contento anche in Italia e in Europa ma non è col proibizionismo che si risolvono i problemi.
Ma perché questa folle e feroce battaglia contro i videogiochi? Questi prodotti da intrattenimento sono stati definiti dal governo come “oppio spirituale”. Ciò che era cominciato con forti regolamentazioni in termini di tempi di utilizzo delle console è ora diventata una lotta senza quartiere contro l’intera industria. Difatti, secondo quanto riportato da endgadget, l’ente regolatore – National Press and Publication Administration (NPPA) – starebbe negando le licenze alle case di sviluppo videoludiche. L’ultima licenza rilasciata per un videogame risale infatti a luglio 2021. Questo vuol dire che da ben 6 mesi le software house cinesi, economicamente, valgono meno di zero. Una situazione critica che sta portando molti sviluppatori a chiudere i battenti ed uscire dal già compromesso mercato cinese dei videogame. Chi invece non ha ancora sventolato bandiera bianca sta provando a riorganizzare il lavoro in altri Paesi, spostando le operazioni all’estero. La NPPA non ha fornito alcuna spiegazione ufficiale in merito allo stop delle licenze, ma non stupisce un simile atteggiamento: la Cina ha passato buona parte del 2021 portando avanti una crociata contro i videogame, forte anche dei mass media statali di cui il governo predispone.