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Una cosa divertente che non farò mai più

24 dicembre 2022 - 09:30

A confronto con il settore del fashion o del beverage, lo sforzo del gaming nel creare siti web con senso e memoria è piuttosto scarso.

Scritto da Marco Trucco

Credits: Michal Parzuchowski (Unsplash)

Ho scritto un manga. Ma come? Hai scritto un manga? Eh sì, ho scritto un manga: centopagine di fumetti con un supereroe. Va beh, son poi fatti tuoi, parlaci di poker. Il fatto è che il manga parla di poker, ho inventato la storia e i dialoghi in orario di lavoro, ho scelto il mangaka per le illustrazioni, corretto le bozze e poi pubblicato tutto quanto sul sito, sul client di gioco e sui social dell'operatore per cui lavoro.  

Vuol dire che per essere un Ad hai tempo da perdere. La qual cosa, per carità, può pure essere vera, ma poi tempo fa ero all'iGaming Next (ah, allora sì, vuol dire che hai tempo da perdere davvero) e il tema della discussione era che i siti di casinò e di scommesse sono tutti uguali, non c'è niente da fare, il massimo che puoi fare è staccare una cambiale a una vecchia gloria del calcio per farti prestare il suo muso ad un imbarazzato sorriso sulla tua homepage. Oppure una celebrity che "rappresenti il tuo brand" (a cui è seguito il nome prescelto, nel caso: Nicki Minaj).

Questo è ciò che farebbe fare il salto di qualità, il posizionamento, la distinzione di un operatore rispetto ad un altro. Eh, e allora? Cos'hai in contrario? Diciamo che la foto della celebrity è un passo in avanti rispetto a un'immagine standard comprata su Shutterstock. Avete presente quei composit col piede e il pallone o quelle composizioni di manichini senza testa con maglie e calzoni di squadre immaginarie, con un giocatore sempre impegnato in un tackle? Le avete viste, no? Lo sfondo del banner del bonus di benvenuto scommesse? Ecco, quello. Meglio Nicki Minaj sicuro.

Però volevo dire un'altra cosa. La discussione del panel è approdata alla scoperta che il brand dev'essere vissuto, deve permeare ogni elemento della promessa. Ma certo! Le promo con i biglietti delle partite in palio! Gli inviti ai Vip! E poi, la cena con il campione! Le “experiences” che ' ”money can't buy”! (spoiler: money can buy quasi tutto, sicuramente una cena con Tacchinardi). Sono queste le attività distintive di un brand? E mi chiedevo, mentre sul palco venivano tessute le lodi di N. Minaj: siamo sicuri che non sia solo una patina di vernice? Un sottilissimo velo messo sopra quello che in realtà sono quattro rack di server che sputano quote e fanno da scaffale a mezzo chilo di slot? A parte Paddypower (e solo in Uk, e solo fino a qualche anno fa), c'è qualche brand in questo dannatissimo settore che abbia fatto qualcosa di profondo?

Non vi sembra che il tratto distintivo sia la superficialità, non nel senso di sciatteria ma piuttosto mancanza di profondità dei marchi, come se - appunto- fossero solo una vetrina? A me pare che, ad esempio a confronto con il settore del fashion o del beverage, lo sforzo del gaming nel creare senso e memoria sia piuttosto scarso. Questi sono mondi che hanno imparato ad applicare una loro impronta su un prodotto, a creare un valore che prima non esisteva (“gli incensi di Dior” di Battiato). Hanno raccontato storie e rivestito idee, il maledetto corporate storytelling, ma scavando nel profondo, lasciando easter eggs dappertutto. Così ho ripensato al mio manga sul poker. Che sta lì, seminascosto dietro a un link nel client e sul sito. Lo clicchi e ti appaiono le centopagine da leggere. Non so, magari non ha senso. È che a me piacciono i dettagli, i labirinti, le stanze nascoste dei musei. Aprire una porta, trovare un cassetto socchiuso, scoprire un livello inatteso e restare stupito a dire "ma pensa cosa c'è qua".

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