Pare proprio che Governo e Parlamento abbiano dimenticato, c’è da credere temporaneamente, la problematica “case da gioco”; eppure, in data 23 maggio 1985, veniva depositata in cancelleria della Corte Costituzionale la sentenza n. 152.
Al cui punto 6 è dato leggere: “Peraltro, questa Corte, mente è messa in grado di esaminare per la prima volta profili di legittimità costituzionale che riguardano le case da gioco aperte nel nostro Paese, non può non esprimersi dal rilevare che la situazione normativa formatasi a partire dal 1927 è contrassegnata da un massimo di disorganicità sia del tipo di interventi cui è condizionata la apertura delle case. Sia per la diversità dei criteri seguiti, sia infine per i modi disparati con i quali vengono utilizzati i proventi acquisiti nell’esercizio del gioco nei casinò”,
E ancora: “Si impone dunque la necessità di una legislazione organica che razionalizzi l’intero settore, precisando tra l’altro i possibili modi di intervento delle regioni e degli altri enti locali nonché i tipi e criteri di gestione delle case da gioco autorizzate, realizzando altresì, in tema di distribuzione dei proventi, quella perequazione di cui alla legge 31 ottobre 1973, n,637, sulla destinazione degli utili della casa da gioco di Campione, può essere considerata solo un primo passo”.
Nella sentenza n. 90 del 2023 la sentenza riportata in precedenza viene citata e narrava della casa da gioco di Saint Vincent nella regione autonoma della Valle di Aosta sollevata dal Pretore di Aosta in riferimento all’art. 3 della Costituzione.
Tanto tuonò che piovve. Ma nel caso in discorso, malgrado i tuoni dal 1992 in poi e dopo aver letto delle case da gioco considerate giustamente gioco pubblico, dopo i recentissimi interventi di alcuni parlamentari, oggi dobbiamo attendere che se ne parli e che piova una buona notizia; speriamo che in autunno sia la volta buona.
E dire, per quanto avevo all’epoca potuto appurare come ho già scritto altre volte, che i progetti e i disegni di legge presentati al Senato e alla Camera erano completi e previgenti di molte, anche sgradite, eventualità che spesso troviamo sulla carta stampata. Gli ultimi non ho potuto leggerli, forse non sono stati pubblicati.
Contenevano norme con modalità differenti ma tutte convergenti sul fatto che i proventi andavano all’ente pubblico, infatti si riferivano, forse indirettamente, alla definizione di entrate aventi la natura giuridica indicata nella legge n.488 del 1986.
Conseguentemente era pacifico, chiaro ed inequivocabile che la casa da gioco era vista come un investimento pubblico per sollevare i bilanci ed incrementare il turismo permettendo, e non è poco, occupazione diretta e dell’indotto.
E, purtroppo, nulla al momento! Molti italiani si recano all’estero travestiti da turisti anche perché godono di una più consistente possibilità nel possesso di contanti alla frontiera; tra questo ed il gioco online la concorrenza è sempre più agguerrita, alcune case da gioco del Paese, stante le preoccupazioni per il bilancio, sono impegnate sempre più nella riduzione dei costi e, a volte, dei servizi con il rischio che la finalità per la quale sono state ideate non sia più raggiungibile.
Rincorrere la quantità, impresa sempre più difficile date le possibilità dell’online, a scapito della qualità potrebbe acuire le difficoltà di alcune gestioni a danno delle entrate e dell’occupazione.
Qualche giorno fa ho letto: “Oggi, come torniamo a ripetere la situazione è cambiata: al governo c’è una formazione politica che non guarda più al gioco come al maggiore dei mali, le regioni sono in larga parte corse ai ripari, per preservare quella che è un’attività lecita e fonte di occupazione, i casinò si stanno riprendendo dalla pandemia e stanno vivendo un momento di grazia e stanno anche rimettendo in ordine i loro conti, ovviamente quelli che all’epoca non li avevano in ordine”. Purtroppo non sono tutti possono vivere un momento di grazia.
E continuava: “ … che nessuno si sia ricordato di questa carenza normativa sottolineata dalla stessa Corte Costituzionale.” Mi sono adoperato per ricordare il fatto con qualche particolare in più del solito.
Personalmente, senza essere l’unico, auspico vivamente che non ci si trovi di fronte ad un sogno di una notte di mezza estate, possiamo solo sperare nell’autunno... di questo anno.
Tra le tante cose che non mi è dato comprendere annovero anche quella in discorso, mi è difficile capire come il provvedimento legislativo di cui alla citata sentenza non possa essere preso in considerazione visto ciò che potrebbe rappresentare in un momento di scarsa disponibilità per gli enti periferici.
Il Paese è circondato, ai confini, da numerosissime case da gioco: Francia, Svizzera, Slovenia e Malta per la vicinanza.
Sono tutti concorrenti e non si può negare che tra i frequentatori vi siano molti italiani che se un tempo lo si poteva parzialmente ammettere per questioni fiscali ora, Svizzera esclusa mi pare, la Legge Europea del 2015 recepita dall’Italia consente l’esenzione delle vincite documentate.
Ma, e concludo, le difficoltà di un'attività che costituisce una sorta di autofinanziamento per gli enti periferici che rispondono alle caratteristiche che verranno stabilite, uno sviluppo del turismo come si è potuto constatare nelle citate immediate vicinanze e l’occasione di occupazione già rammentata, stupisce non possa trovare una congrua definizione legislativa.
Non mi pare sia un'eventualità da non considerare nell’identico modo nel quale l'apposita Commissione aveva pensato di risolvere in coda al gioco pubblico.