Una volta, di questi temi, si parlava di “assalto alla diligenza”, riferendosi alla fase di stesura della prossima Manovra finanziaria, caratterizzata da un vero e proprio assalto da parte delle varie industrie, lobby e gruppi di pressione vari, allo scopo di provare a incassare bonus, incentivi, mance o sconti vari. Da qualche anno a questa parte, invece, la musica è decisamente cambiata: e anche se mance e mancette continuano comunque a non mancare, il diktat generale della spending review che accompagna (almeno in teoria) la stesura di ogni manovra dell'ultimo decennio impone particolare rigore e maggiore sobrietà. Al punto che, in ogni industria, invece di guardare ai regali che possono arrivare, si guarda semmai ai possibili “sconti”, sperando cioè di evitare ulteriori rincari, quando non incappare nell'introduzione di qualche nuova tassazione. Lo sanno bene gli operatori del gioco pubblico, abituati già da prima a questo fastidioso modus operandi, che per il settore si ripete già dagli precedenti e assai più rosei per l'intera economia. Mentre gli altri settori incassavano, quello del gioco pagava, ogni volta di più. Ma è pur vero che i margini c'erano e gli incassi pure, e nessuno poteva lamentarsi troppo degli sforzi richiesti. Anche se a compromettere (e non solo a infastidire) l'intera filiera dei giochi erano le modalità con cui venivano imposti i vari balzelli: spesso maldestre, talvolta scomposte, se non addirittura sbagliate. Come nel caso della celebre Tassa sui 500 milioni inflitta al settore dalla Legge di Stabilità del 2016 per mano dell'allora governo Renzi, che ha scatenato un lungo contenzioso e una generale instabilità dentro e fuori al settore. Ma non si tratta, purtroppo, dell'unico esempio né tanto meno di un'eccezione. E pure se, negli ultimi anni, si è smesso di assistere al solito e ripetuto aumento del Prelievo erariale applicato ai giochi – e, in particolare, agli apparecchi da intrattenimento – ma solo perché in questo senso ci si è già spinti oltre ogni limite massimo e sulla soglia della sostenibilità, continuano comunque ad essere introdotte nuove forme di tassazione, dirette o indirette che siano. Come accade anche stavolta con l'ulteriore rincaro delle quote richieste per le proroghe delle concessioni e con gli altri interventi previsti nella prossima manovra. Anche quando il governo (a proposito di fastidiose abitudini) continua a parlare di nessun aumento della tassazione, per nessuno. Del resto, lo sappiamo, basta saper cambiare le definizioni e usare le giuste parole per mutare la percezione nei cittadini. Così anche un aumento delle accise sul diesel diventa un semplice “allineamento” delle accise sui carburanti. Peccato però che sui giochi si continui soltanto a rincarare la dose, invece di procedere con veri allineamenti: come per esempio si potrebbe procedere relativamente agli apparecchi da intrattenimento, ovvero il principale contribuente per lo Stato tra tutti quelli del paniere del gioco pubblico. Sì, perché nel caso di slot e vlt, la filiera chiede ormai da anni di poter eseguire un aggiornamento dell'imposizione fiscale, passando da una tassazione “sul cassetto” a una sul margine, cioè come avviene per tutti gli altri segmenti del gioco e in tutti gli altri paesi. Una logica che, come hanno cercato di dimostrare vari studi economici, porterebbe a maggiore benefici sia per l'industria che per l'Erario. Ma a quanto pare lo Stato ha sempre preferito lasciare inalterate le cose, senza volerci mettere la testa (e la penna), preferendo lo status quo (anche) a livello fiscale, che potrebbe quindi tradursi, parafrasando un antico adagio, in una logica di: tanti, maledetti e subito. Applicando cioè lo stesso metodo lassista che del resto viene adottato nell'intera gestione del comparto: preferendo quindi i soldi facili e immediati, invece di operare le riforme necessarie per dare stabilità e certezze all'industria e generare anche nuove entrate, in un contesto sostenibile. Che consentirebbe di bandire le gare per i rinnovi delle concessioni, riaprire lo scenario competitivo e creare nuovi fondi per il paese e la collettività. Invece, si continua ad attendere, rimandando ogni riforma al domani, prorogando tutto ciò che è prorogabile (e anche quello che non lo è), limitandosi a mettere le eventuali toppe dove diventa necessario: magari approfittando dell'occasione per introdurre qualche altro balzello in più. L'ultimo esempio è di questi giorni, dal punto di vista attuativo, con l'emanazione dell'elenco dei Pvr (Punti vendita ricariche) che tenta di mettere una pezza su un'annosa questione che il legislatore era chiamato a risolvere da diversi anni, e che si pensava di poter gestire all'interno del cantiere del riordino: salvo poi veder naufragare diverse volte quello stesso progetto di riforma. Mentre il governo di turno ha pensato bene di anticipare la gara per l'online, rendendo necessario intervenire prima anche sui punti vendita ricariche. Anche se il risultato, purtroppo, sembra essere quello di sempre, con l'innalzamento di un gran polverone sull'industria (oltre a un grande trambusto) che solo una fitta pioggia di ricorsi, probabilmente, potrà far scemare. Anche per questo, forse, sarebbe stato meglio procedere prima con un riordino generale dell'intera industria, senza esclusioni, prima di procedere con qualunque tipo di gara, quindi anche quella dell'online. Per evitare intoppi, disallineamenti e squilibri vari. E per scongiurare una nuova stagione di contenziosi, che non farà bene a nessuno. Ma ormai il dardo è tratto: che serva almeno come ulteriore esperienza e come monito in vista delle altre gare. Perché stavolta non c'è davvero più spazio per sbagliare, né altro tempo per rimandare.