Mi permetto di infilarmi nel discorso del mestiere del croupier nei casinò. Sono stato per quaranta anni dipendente di una casa da gioco e, per qualche anno addetto alla roulette francese dove si tirava la “maledetta” come un tempo, forse anche ora, si denominava il rastrello.
Ho lavorato, in tempi ormai lontanissimi, sia con tavoli doppi sia con quelli semplici che richiedevano meno personale e permettevano una partita più rapida.
Non sono mai stato impiegato alla fair roulette e nemmeno ai cosiddetti giochi americani che hanno avuto il merito di incrementare l’offerta e l’occupazione ma, allo stesso tempo, il demerito di svalutare la professionalità richiesta per i giochi tradizionali.
Mi ha impressionato parecchio conoscere le prove per il concorso, a Montecarlo, per eleggere il miglior croupier europeo: se non ricordo male fair roulette detta anche roulette inglese e black jack. Sono i tempi!
Stupito di leggere di croupier, maschi e femmine, con pochi anni di esperienza (quattro o giù di lì). La formazione di un croupier professionista che possa lavorare alla roulette francese tradizionale e, poi, allo chemin de fer necessitava di ben altra esperienza.
Il maneggio di gettoni e rastrello non si impara se non in numerosi mesi di scuola, il piazzamento dei gettoni con l’aletta del rastrello, se da posizionare l’uno sull’altro, non è semplicissimo. È ben vero che si può, alle volte trattandosi dell’ultima dozzina, lanciare la puntata al bout de table, per la dozzina di mezzo si deve farlo in proprio.
“Pulire” il numero col rastrello lasciando le puntate vincenti può costituire una difficoltà, certamente superabile con l’esperienza. È più facile usare le mani ma, sicuramente, meno elegante!
La partita deve procedere il più velocemente possibile, il tempo è denaro e non posso che ammetterlo; se si usano i gettoni di colore si possono evitare le contestazioni.
All’impiegato rimane da lavorare, come si diceva, con il sorriso sulle labbra, lasciando a casa le preoccupazioni e con la maggior eleganza possibile per rispetto doverosamente dovuto al giocatore e al denaro che impiega e che procura lo stipendio.
Per quanto allo chemin de fer, ne scrivo, perché avendo fatto il cassiere di sala nel turno di notte, ho potuto assistere molte partite al tavolo grande quando era rimasto l’unico in sala.
Era un vero piacere vedere il croupier passare le carte e raccogliere le puntate perdenti con la paletta definibile come una concreta appendice della mano, pagare i gettoni vincenti alla punta e gestire la partita con sollecitudine e savoir faire. Tale era la professionalità acquisita che ben raramente doveva intervenire il commissario se non per annunciare l’ultimo sabot, magari alle 9 del mattino.
Corrisponde al vero che il trattamento economico complessivo non è più quello di una volta. È cambiata la clientela e sono mutate le condizioni economiche in generale, il surplus da dedicare al gioco nei casinò non è più, molto probabilmente, lo stesso.
Un solo elemento positivo e di non poco momento si può rammentare!
Il Dl n. 314 del 1997 in forza del quale le mance rientrano, dopo una lunga battaglia, in quanto comprese nella tassazione sul reddito (Irpef), nella contribuzione ai fini pensionistici e previdenziali. Questa normativa non esisteva in precedenza se non per una parte convenzionale di cui alla L. 153/69 e Dpr n.1420/71.
I giovani, forse, non ne hanno mai sentito parlare se non dai vecchi, ma vi posso assicurare che si è trattato di un grande e lungo impegno da parte delle organizzazioni sindacali. E lo ricordo con piacere.