La chiesa filippina: 'No a casinò nell'isola di Boracay'
I vescovi filippini si scagliano contro il progetto di casinò nell'isola di Boracay.
"No ai casinò, no al gioco d'azzardo nell'isola di Boracay". Questo l'appello di sette vescovi delle Filippine, membri delle arcidiocesi di Jaro e Capiz e delle diocesi di Bacolod, San Jose de Antique, Romblon, Kabankalan e San Carlos, contro la costruzione di casinò nella regione.
Come si legge su Vaticannews.va, secondo i vescovi filippini, “l'isola di Boracay è un paradiso dove vivono molte famiglie, dove si promuovonoa l'istruzione e l'imprenditorialità, dove si incoraggia l'occupazione e che rappresenta una buona fonte di sussistenza per la popolazione e, quindi, per le entrate del governo”. Benedetta da "sabbia bianca incontaminata, acque cristalline, flora e fauna abbondanti e una vita marina diversificata", l'isola, sottolineano i vescovi, "è una delle destinazioni di vacanza migliori e più attraenti del mondo".
Pertanto, i vescovi invitano i funzionari pubblici “ad ascoltare la richiesta della nostra gente di mantenere Boracay pulita, sicura, adatta ai bambini e alle famiglie, un luogo da visitare e dove poter trascorrere momenti preziosi con i nostri cari”.
"Diciamo fermamente no ai casinò, no al gioco d'azzardo a Boracay!", esorta la chiesa filippina, "perché tali strutture non solo distraggono e distolgono i visitatori dalla vera bellezza e dal valore di questa amata isola, ma apriranno anche la strada a stili di vita e abitudini distruttive che altereranno e distruggeranno significativamente i preziosi valori, cultura e vita della comunità”. Basti pensare, infatti, a "quante persone e famiglie sono state distrutte a causa del gioco d'azzardo".
Inizialmente respinto nel 2018 dal presidente Rodrigo Duterte, il progetto di costruzione della casa da gioco è stato riapprovato lo scorso agosto. La revoca del veto aprirà effettivamente le porte al Galaxy Entertainment Group, con sede a Macao, che potrebbe investire 500 milioni di dollari. Questo cambio di decisione è stato giustificato dal capo dello Stato da una carenza di fondi nazionali, provocata dalla pandemia.