Ho letto con interesse le dichiarazioni di Martin Haijer (Egba) pubblicate da gioconews il 25 marzo e, in particolare, alcuni brani.
“Il rapporto rivela chiare differenze nell’uso del prodotto tra gioco d’azzardo online e quello terrestre nel 2024 la lotteria, ad esempio, ha rappresentato il prodotto più grande in assoluto...”
Ed ancora “I giochi da casinò (30 miliardi in totale) hanno mostrato l’andamento opposto prevalentemente online (21,5 miliardi di euro) rispetto a quelli terrestri (8,5 miliardi di euro)...”
“... In Italia 25,5 miliardi seguita dalla Francia con 17,8 miliardi di euro e dalla Germania con 17,7 miliardi di euro”.
“Le prospettive a lungo termine rimangono positive con il mercato complessivo... ”
Ecco che mi ritorna in mente quanto avevo “raccomandato” in tema di politica produttiva la diversificazione e il rafforzamento dell’online. Aggiungevo, molto probabilmente per il mio trascorso come dirigente sindacale e preoccupato in primo luogo per l’occupazione e da quanto ne potrebbe derivare, la creazione di corsi di aggiornamento professionale per raggiungere l’obiettivo di gestire, ove possibile, il gioco online dal vivo.
Il mio impegno si è spinto, logicamente, alla considerazione di quanto rileva nel campo dell’ente pubblico concedente e della fiscalità nazionale.
Con il richiamo alla concreta possibilità di detassare le mance nei casinò e, in contemporanea, diminuire i costi della gestione che si riflettono inevitabilmente sulle entrate tributarie dell’ente pubblico periferico concedente, posso riassumere quello che si intende perseguire e concretizzare. Si ottiene un triplice risultato che, unitamente ai due citati, si concreta con la difesa dell’occupazione e non pare un fatto di poco momento.
Non credo si possa dissentire dalla necessità di adeguare l’offerta alla domanda e non solo di giochi nella poco contestabile considerazione e visione di una crescente concorrenza che sulla non necessità di spostamenti unitamente alla reale comodità fonda le motivazioni della costante crescita.
Riassumendo desidero rammentare che, a mente l’art. 3, lett. i del Dl n. 314 del 1997, il datore di lavoro, ovvero il gestore del casinò, versa i contributi pensionistici e sull’identico imponibile il dipendente paga l’imposta sul reddito delle persone fisiche.
Si propone di eliminare la contribuzione pensionistica Inps, quindi un risparmio per il gestore; la detassazione della mancia (parte più piccola della vincita che. a norma delle vigenti disposizioni, è esente da Irpef), quindi un risparmio per il dipendente che dovrà provvedere ad una forma integrativa obbligatoria della pensione.
Ritengo si possa affermare che così operando si ottiene un costo di gestione inferiore e, di contro, la possibilità di mantenere in caso di crisi della domanda o di incrementare il beneficio, entrate tributarie, a favore dell’Ente concedente la concessione.
Allo stesso tempo non si potrà negare che un ridotto costo del lavoro incentiva l’occupazione col risultato di un più importante prelievo fiscale sulle retribuzioni ordinarie dei dipendenti tecnici del casinò.
Neppure si dovrebbe omettere che il minor costo per il personale agevola una maggiore tranquillità nell’investimento mirato alla produzione legato al ritorno specifico.
Associare il pensiero che investimenti in servizi alla clientela, tra i quali merita annoverare il corso di formazione continua alla professionalità, generano il collante atto a competere con la concorrenza nell’interesse globale di tutti i soggetti citati, è il giusto, a mio parere, modus operandi.
Nell’ultimo articolo, in tema costo del lavoro e delle possibili conseguenze in argomento casinò italiani, mi sono lasciato andare a riferimenti di leggi e decreti che conoscevo a causa della nota e spesso richiamata questione fiscale; in questa occasione ho cercato di esplicitare la medesima idea in una forma, a mio parere, più leggibile.