La legge è legge e non guarda in faccia a nessuno. Neanche ai casinò, per quanto tutti di proprietà pubblica e, al momento, tutti a gestione pubblica. La “scure” del decreto Dignità si è abbattuta dunque anche su di essi, in maniera fortemente impattante. Perché è vero che si tratta di strutture esistenti da decenni (se non secoli) e fortemente conosciute anche come attrazione turistica, ma sono pur sempre strutture che hanno vissuto di promozione e di marketing, che si sono rivolte a una platea vasta, non esclusivamente di addetti ai lavori. Forse, per i casinò più che per altri operatori di gioco, la pubblicità è davvero l'anima del commercio, e il suo divieto ha portato a un radicale ripensamento del business. Come raccontano, tra pennellate sullo status quo e auspici nei confronti del futuro, i massimi rappresentanti di tre di essi. Il Casinò Campione d'Italia non ha infatti ritenuto opportuno, in questo momento, intervenire sulla questione.
Iniziamo il nostro viaggio al Saint Vincent Resort & Casino, incontrando l'amministratore unico Rodolfo Buat che introduce la sua analisi con una premessa: "Il divieto di pubblicità introdotto dal decreto legge 87/2018 è talmente esteso e assorbente che di fatto inibisce qualunque possibilità di comunicazione commerciale”. Da essa parte l'analisi dell'amministratore unico del Saint Vincent Resort & Casino, Rodolfo Buat: “In realtà il decreto non vieta solo la pubblicità, ma qualsivoglia forma di comunicazione esterna. È una condizione pesantemente lesiva della possibilità di consolidamento e sviluppo delle imprese casinò”.
Non solo: “Si dimentica che queste imprese hanno offerto attraverso iniziative e sponsorizzazioni un contributo importante alla vita sociale e culturale del Paese. Il Festival del Cinema italiano a Saint Vincent, il Premio di Giornalismo e altre manifestazioni anche sportive non sono oggi più possibili”.
Buat rimarca poi che “il decreto non distingue in modo assoluto fra le diverse attività di gioco d’azzardo e le diverse modalità di comunicazione, dimenticando ad esempio che i casinò sono gestiti da società pubbliche sulla base di autorizzazioni storiche derivanti da provvedimenti di legge, sono luoghi assolutamente controllati, svolgono funzioni attive di contrasto alla ludopatie, sono legate ai rispettivi territori da profonde relazioni economiche e istituzionali. La norma, così assorbente, potrebbe anche violare il principio costituzionale della libera d’impresa, perché di fatto nel tempo obbliga le imprese casinò al silenzio e alla non riconoscibilità, con un inevitabile involuzione critica dalle forti ricadute negative anche occupazionali. Crea anche per i casinò una condizione penalizzante sul piano competitivo. Le altre forme di gioco, quali ad esempio sale slot, sale scommesse e lotterie istantanee, godono di una distribuzione territoriale pervasiva (ad esempio i tabacchini o i bar) che rende decisamente meno incisivo il divieto di pubblicità”.
Non solo: “Oltretutto è una norma parzialmente inefficace rispetto agli scopi che si propone. I consumatori italiani sono colpiti comunque da messaggi pubblicitari che provengono dall’estero, dove non opera la normativa, e che arrivano in Italia attraverso la internet o le reti televisive”.
L'amministratore unico del Casinò valdostano così conclude: “Naturalmente auspichiamo un ripensamento. Non si tratta di negare la necessità di una regolamentazione che inibisca la promozione del gioco. Si tratta di introdurre delle opportune distinzioni, colpendo i messaggi che hanno un contenuto esplicitamente incentivante l’attività del gioco, ma consentendo alle aziende casinò di poter esplicitare la propria funzione economica, sociale e culturale. Infine, non va dimenticato che i casinò svolgono una importante funzione di sostegno agli obiettivi generali di ordine pubblico e di controllo dei flussi finanziari irregolari: sono e devono continuare a essere una risorsa e non un problema”.