Giudizio sospeso e nuovo rinvio delle questioni pregiudiziali alla Corte di giustizia dell’Unione europea: così ha deciso il Consiglio di Stato in merito all'appello presentato da alcune piccole imprese che svolgono attività di gestione delle sale da bingo in virtù di concessioni scadute – e operanti perciò in regime di proroga tecnica, in attesa dello svolgimento delle gare - per la riforma della sentenza 26 marzo 2019 del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio che ha confermato le modifiche introdotte dalla legge di stabilità 2016, cioè l'aumento dell'importo dei canoni mensili dovuti e della soglia minima corrispettiva per l’attribuzione delle concessioni, nonché l'introduzione del divieto di trasferimento dei locali per tutto il periodo della proroga
Il Consiglio di Stato ritiene che “la normativa nazionale sulle plurime reiterazioni delle proroghe tecniche costituisca una misura restrittiva delle libertà europee per la concomitanza dei seguenti fattori. In primo luogo, i numerosi aumenti del canone disposti nel tempo, prescindendo dalla effettiva situazione del mercato e da ogni valutazione delle dimensioni delle imprese, incide in modo indifferenziato su tutti gli operatori economici del settore, senza tenere conto della reale capacità, soprattutto delle piccole imprese, di sostenere tale aumento. In secondo luogo, l’imposizione dell’accettazione della proroga quale condizione legale per poter partecipare alle più volte preannunciate e mai attuate gare si risolve in una non ragionevole limitazione della libertà di impresa a causa, in particolare, della indeterminatezza temporale dell’effettivo momento di svolgimento delle gare stesse. Infine, è imposto l’obbligo di non cedere i locali, che costituisce, considerata la valenza strumentale dei beni ai fini dello svolgimento dell’attività di impresa, indebita e apparentemente ingiustificata restrizione della suddetta libertà. In definitiva, gli operatori economici sono privati della concreta possibilità di interrompere il rapporto concessorio, modificato ex lege in modo assai gravoso, in quanto non hanno certezze in ordine ai tempi di svolgimento delle future gare il cui avvio è finora sempre stato sistematicamente rinviato. L’ “uscita dal rapporto concessorio” si potrebbe risolvere in una “uscita dal mercato”, irragionevolmente imposta dalle leggi sopra riportate”.
Al fine di stabilire quando tali libertà europee sono violate, si legge nell'ordinanza del Consiglio di Stato, occorre svolgere le seguenti verifiche. “In primo luogo, è necessario che la misura nazionale abbia determinato una restrizione delle suddette libertà. In secondo luogo, se la restrizione sussiste, occorre stabilire se la stessa possa essere giustificata alla luce sia di limiti specifici espressamente consentiti dal Trattato sia del limite generale costituito dai 'motivi imperativi di interesse generale', che sono diversamente costruiti a seconda del settore di riferimento. Infine, se i suddetti motivi imperativi sussistono, occorre valutare se la normativa nazionale derogatoria rispetto alle libertà europee rispetti i seguenti altri principi generali europei: i) principio del pari trattamento, che vieta che la deroga nazionale crei discriminazione tra situazioni giuridiche nazionali ed europee; ii) principio di proporzionalità, che impone che la misura nazionale sia adeguata, idonea e proporzionata in senso stretto rispetto alla tutela dell’interesse pubblico nazionale, al fine di stabilire se il sacrificio dell’interesse pubblico europeo sia in concreto giustificato; iii) principio di affidamento dei privati incisi da una normativa eventualmente retroattiva ovvero che pregiudichi posizioni consolidate; iv) principio di trasparenza e principio di concorrenza per il mercato, qualora sussista l’esigenza di scelta limitata dei soggetti privati che possano svolgere quella attività”.
IL COMMENTO DELL'AVVOCATO DAGNINO: "ORDINANZA CHE TRAVALICA I LIMITI DEL SINGOLO CASO" - Il 21 novembre 2022, rispondendo al ricorso di altri operatori il Consiglio di Stato aveva rimesso alla Corte di giustizia dell’Unione europea una serie di questioni pregiudiziali, ma secondo il legale degli operatori del bingo, Alessandro Dagnino, ci sono una serie di rilevanti differenze. “Il ricorso precedente riguarda l'aumento del canone da 5mila a 7500 euro, questo l'aumento da 2800 a 5mila euro. Quindi ora si amplia l'ambito della ricognizione devoluta alla Cgue, che quindi riguarda tutti gli aumenti. Il CdS non si limita a ravvisare il problema della proporzionalità del canone, ma evidenzia che la sua applicazione non tiene conto dei danni nei confronti degli operatori più piccoli. Poi aggiunge altri due elementi: va valutata la legittimità per l'Unione europea del divieto di partecipazione alla futura gara per le concessioni del bingo a carico di coloro che non hanno aderito al canone di proroga tecnica – sancendo una restrizione della concorrenza – e viene messa in dubbio la compatibilità europea con il divieto di trasferimento delle concessioni. Se queste interpretazioni passeranno in sede europea ciò inciderà tantissimo sul mercato italiano: tutte le concessioni potrebbero avere pari dignità, avallando le pretese risarcitorie avanzate per il divieto di trasferimento delle concessioni. È molto interessante anche la parte finale dell'ordinanza del Consiglio di Stato che apre alla possibilità di avere ulteriori misure cautelari, 'qualora dimostrino la sussistenza di un adeguato periculum in mora, laddove risultino effettivamente non più sufficienti quelle già disposte' : un'opportunità per tutti gli altri operatori. E quindi un'ordinanza che travalica i limiti del caso singolo. Evidenziando che se la Corte di giustizia dovesse dar torto agli operatori è comunque possibile tornare in Corte costituzionale”.