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Gioco pubblico e sostenibilità: quello che i numeri non dicono

15 luglio 2024 - 15:09

Nelle ultime settimane si susseguono vari (e importanti) studi sulle abitudini di gioco degli italiani. Anche se la realtà è ancora più complessa (e spinta), e tutta da scoprire.

Foto di Dan Dimmock (Unsplash)

Foto di Dan Dimmock (Unsplash)

C’è una cosa che ripetiamo da anni: il gioco pubblico rappresenta un fenomeno (e non solo un’industria) altamente complesso. E come tale, quindi, deve essere affrontato. Evitando perciò ogni tipo di scorciatoia, a livello politico e regolamentare, che non sia suffragata da analisi puntuali e rafforzata da dati certi, prima di prendere qualunque decisione. Visto che l’intero impianto normativo (come pure il sistema concessorio nella sua totalità) è basato sul delicato equilibrio tra i diversi principi costituzionali che devono essere mantenuti, tutelati e adeguatamente presidiati. Partendo dalla tutela della salute e dei consumatori più in generale, passando per quella della legalità e della sicurezza sul territorio, quindi dell’ordine pubblico, fino ad arrivare alla libertà di impresa e di iniziativa economica, che riguarda più da vicino le imprese e le varie decine di migliaia di lavoratori che vivono grazie al comparto.

Per questo, dunque, è necessario studiare a fondo il fenomeno, analizzandolo nella sua complessità ma anche - e soprattutto - nella sua repentina mutevolezza, sapendo che si tratta di un comparto ad alto tasso tecnologico e di innovazione, che richiede quindi aggiornamenti costanti sia in fase di studio che dal punto di vista dell’aggiornamento normativo. Due punti, questi, che hanno visto invece il nostro paese muoversi sempre in ritardo - purtroppo - arrancando sistematicamente di fronte a ogni nuova sfida, per poi arrivare ogni volta in affanno di fronte a ogni cambiamento di scenario. Politico, economico o tecnologico che dir si voglia. 

Adesso però la situazione sembra essere diversa e la sensazione è che qualcosa stia veramente cambiando, sotto tutti i profili. Con una serie di studi, indagini e analisi che si stanno realizzando su più fronti, proprio per approcciare il settore (e il fenomeno, più in generale) nella sua complessità. Basta guardare la produzione di ricerche che si sono susseguite soltanto negli ultimi mesi dentro e fuori dal comparto, per mettere in luce i tanti aspetti cruciali per lo sviluppo sostenibile del comparto. Ma non è un caso se aggiungiamo il termine “sostenibile” accanto alla parola “sviluppo”: da qualche tempo ormai, nell’industria, si è diffusa la consapevolezza che non può esserci futuro senza una piena presa in carico di tutti gli aspetti di responsabilità sociale che derivano dall’esercizio di un’attività in un settore così delicato. Ma attenzione: questo non significa che prima non ci si preoccupasse degli aspetti di gioco responsabile o delle possibili derive patologiche che possono affliggere alcuni soggetti sensibili che si approcciano al gioco con vincita in denaro.

Anzi, al contrario, l’industria ha sempre dimostrato attenzione e particolare responsabilità verso questi aspetti (molto più di quanto si possa immaginare o di quanto si sia potuto raccontare in precedenza, soprattutto sui canali mainstream), anche quando non era richiesto: del resto, come sarebbe facile da comprendere, le imprese del settore possono esistere e prosperare solo con una clientela sana e duratura, mentre il giocatore patologico non può garantire alcun futuro a nessuno. Anche per questo ci si è sempre adoperati, nel settore, per tutelare i propri consumatori. Ma la vera differenza è che fino a qualche tempo fa sembrava essere dominanze la convinzione - anzi, la consapevolezza - che la questione della prevenzione fosse qualcosa di cui dovesse occuparsi lo Stato attraverso le sue strutture, quindi a livello politico, legislativo e normativo, e non le singole imprese, le quali dovevano e potevano semplicemente attenersi alle prescrizioni normative e ai vincoli imposti dai rapporti di concessione. Come del resto avviene in tutti gli altri settori. La responsabilità sociale, dunque, appariva come qualcosa di simile alla

Filantropia: un qualcosa che tutti possono fare, ma che comporta e rappresenta un qualcosa in più rispetto alla propria attività ordinaria, forse più legato alle singole sensibilità personali o attitudini aziendali.  

Tutto questo però, dicevamo, adesso sembra essere davvero cambiato, sia a livello di convinzione, che si sta diffondendo nel settore, che di determinazione: tutti sembrano aver capito che il comparto del gioco non è uguale a tutti gli altri e che per renderlo pienamente sostenibile serve fare uno sforzo in più. E lo hanno capito, a quanto pare, anche la politica e le istituzioni, dopo aver pagato le conseguenze di approcci ideologici o semplicistici che hanno creato solo problemi o distorsioni.

Così oggi assistiamo a quel proliferare di studi e approfondimenti sul settore, che sono da accogliere con grande entusiasmo e interesse: perché solo dalla completa comprensione del fenomeno gioco, si potranno adottare regole chiare, concrete e sostenibili, per tutti. Anche se, ancora, c’è ancora molto da studiare. E da scoprire. Per chi opera da anni nel mondo del gioco, infatti, è semplice osservare come gran parte delle indagini realizzate dai principali istituti di riferimento o dagli organi tecnici del nostro Paramento, sia ancora incomplete o non pienamente descrittive della realtà in cui si colloca il settore del gioco, oggi.

Si pensi per esempio al tentativo di riordino del gioco terrestre e della mediazione ricercata tra il governo e gli enti locali per la riorganizzazione del comparto necessaria per il rinnovo delle concessioni: tra le varie indagini e analisi anche qui realizzate dalle varie parti in causa, si continua a parlare di distanze, di riduzioni e di altre limitazioni, che risultano senz’altro comprensibili e in parte pure condivisibili, a livello puramente ideologico e concettuale, ma che potrebbero diventare ben presto obsolete di fronte a una reale comprensione e osservazione della realtà del gioco in Italia.

Rifacendosi per esempio alla stima - sia pure blanda - fornita già in passato dalla Guardia di finanza sull’esistenza (e la consistenza) del gioco d’azzardo illegale, stimata in un giro di affari addirittura vicino ai 20 miliardi. Basterebbe soltanto questo per rimettere in discussione molte delle posizioni prese da più parti “contro” il comparto: almeno nei confronti di quelli che basano il proprio punto di vista sulla mera osservazione che il gioco pubblico sia eccessivamente diffuso perché dimostrato dai dati della raccolta di Stato. Come metterla, allora, di fronte al fatto che in realtà gli italiani giocano molto di più di quello che viene stimato e che la rete dell’offerta di gioco è in realtà molto più ampia perchè quella legale è affiancata anche dalla rete parallela dell’anti-stato?.

Ecco quindi che, in questi termini, diventa comprensibile nonché legittimo il punto di vista più cinico e amministrativo che vorrebbe portare anche quella restante parte di raccolta di gioco dal circuito illecito a quello lecito. Ma questo significherebbe almeno in teoria estendere la rete statale ulteriormente, in apparente contrapposizione con i profili di tutela che si vuole invece difendere e tutelare. Ma è propria questa la complessità che caratterizza il comparto e la sua difficile regolamentazione, nonché l’ardua trattazione della materia. Mentre affrontare l’industria occupandosi unicamente di ciò che si vede e si riesce (o si vuole) vedere, significa adottare un approccio miope e per definizione limitato, parzialmente sterile, inefficace.

Proseguendo nel lavoro di contro-analisi, peraltro, si potrebbero trovare molto altri spunti di interesse, indagine e di attenzione: guardando per esempio anche il segmento online, oltre a quello terrestre. Anche in questo caso bisognerebbe osservare come il più delle volte si parla di un settore eccessivamente in crescita, ad alto rischio e ingente pericolosità. Quando chi lavora nel comparto sa benissimo che i “veri” giocatori di azzardo che utilizzano il canale online, da anni sono migrati - o comunque frequentano da sempre - il cosiddetto “punto com”, giocando cioè su siti non legali in Italia (nonostante i rischi che questo comporta), perché più performanti e quindi appetibili. Provate a chiedere ai giocatori professionisti di poker per capire. Ma tutto questo mentre in patria si è assistito a levate di scudi e grida allo scandalo quando il legislatore negli anni passati parlava del rilascio di nuove concessioni da assegnare per il poker live, proprio nel tentativo di bonificare ciò che avveniva sul territorio - tra i vari circoli o in alcune vere e propria bische - oltre a poter canalizzare la domanda online. Al punto dal costringere l’autorità a interrompere ogni tentativo di ulteriore regolamentazione, lasciando cioè le attività illecite o border line a operare più o meno indisturbate (al netto ovviamente delle attività di controllo e repressione eseguite dalle autorità sia online che offline che certo non mancano e di cui scriviamo ogni giorno). Ma si pensi anche, guardando come dicevamo prima alla rapida mutevolezza del contesto, che oggi la sfida per i regolatori (nonché la concorrenza per gli operatori) è ancora più insidiosa, tenendo conto che con pochi click e una minima abilità di navigazione in rete, è facile raggiungere qualche cripto casinò online, basato in Russia o in chissà quale isola caraibica o del mondo, dove puntare i propri risparmi, come fanno ogni giorno migliaia di persone (e a quanto apre, peggio ancora, anche molti giovani o adolescenti).

Insomma, la realtà del gaming, in Italia ancor più che nel resto del mondo, è una materia troppo complessa per non essere affrontata con adeguata e meticolosa preparazione. Ben vengano quindi i tanti studi e le indagini che si stanno realizzando in questi mesi, auspicando che ne possano seguire molti altri, anche per allargare il campo e il raggio d’azione dell’industria e del regolatore.

 

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