Ha fatto discutere, per poi far esultare i politici italiani (e non solo), l’approvazione dei giorni scorsi in Parlamento Europeo della norma relativa al Rapporto della Commissione speciale del Parlamento europeo per la lotta contro il cancro (Beca) sul rafforzamento delle strategie dell'Europa nel combattere la malattia, la quale prevedeva l’introduzione di messaggi di “warning” sulle etichette dei vini.
In particolare la relazione “Beca” - il Beating Cancer Plan presentato dalla Commissione - eliminava la parola ‘nocivo' prima del ‘consumo' di alcol, termine che esisteva nella relazione della Commissione; proponeva l'inserimento in etichetta di pesanti ‘health warnings' e chiedeva il divieto di sponsorizzazione totale dell’alcol in relazione alle attività sportive. Mentre dopo l'approvazione degli emendamenti è stato reinserito il concetto di pericolosità dell'abuso di alcol e non solo del suo uso. Modifiche, queste, proposte e sostenute a gran voce dalla politica italiana che si è mossa di gran carriera in difesa della filiera produttiva nazionale. Fino a godersi oggi il successo ottenuto in seguito al voto della Plenaria: “per l'Italia e per il vino italiano è stato un successo su tutti i fronti”, ha spiegato, esultando, l’Europarlamentare italiano Herbert Dorfmann.
In effetti il principio introdotto sembra essere dettato dal buonsenso visto che, adesso, è stato sancito che la misura in cui il vino e le altre bevande alcoliche possono costituire un fattore di rischio dipende in modo significativo non solo dalla modalità, dalla quantità e dalla qualità del prodotto consumato, ma anche dalla predisposizione genetica e dal modello dietetico in cui vengono consumate le bevande alcoliche.
Sarà quindi necessario, d’ora in poi, distinguere il consumo moderato dall'abuso, saranno esclusi i warnings in etichetta (“avvisi” tipo di quelli presenti sui pacchetti di sigarette) e - soprattutto - è stato scongiurato il divieto di pubblicità. Quindi le sponsorizzazioni da parte di bevande alcoliche come ad esempio la birra, di manifestazioni sportive come la Champions League, potranno continuare.
Ma quello che viene vissuto a tutti gli effetti e da tutto il paese come un successo nazionale e una pieno esercizio di razionalità, non può che essere al tempo stesso recepita come una vera beffa per chi lavora nel comparto del gioco pubblico. Un altro settore “a rischio” in termini di salute pubblica, anche se nel caso del gioco - a differenze degli alcolici - i rischi in questione non comportano la morte (come invece succede per l’alcolismo) e neppure il cancro. Eppure, stando ai fatti, quella linea ragionevole che è prevalsa per il vino e che è stata promossa proprio dall’Italia, continua ad essere inapplicata (né tanto meno proposta) nel caso del gioco. Per il quale proprio il nostro paese, cioè quello che ha difeso strenuamente il vino salvandolo dall’etichettatura e dal bavaglio, ha al contrario proposto spontaneamente e attuato un divieto di pubblicità senza bisogno che fosse l’Europa a suggerirlo. Anzi, a dirla tutta, ciò è avvenuto - addirittura - in contrapposizione rispetto a quanto promosso dall’Europa, visto che è tutt’ora vigente la raccomandazione della Commissione Europea che nel 2014 stabiliva quanto fosse importante il mantenimento di una promozione del gioco legale per consentire la distinzione rispetto all’offerta del gioco illecito ancora molto presente a livello internazionale. Anche se l’organismo comunitario non può e non deve intervenire sulle singole discipline nazionali su materie complesse e legate all’ordine pubblico come quella del gioco, limitandosi a un’indicazione generale per gli Stati Membri, attraverso una raccomandazione, appunto.
Eppure, stando ai fatti, quella trattativa sul vino tra il nostro paese e il Parlamento europeo che si è chiusa con un successo su tutti i fronti, in particolare proprio per l'Italia che se ne era fatta promotrice, suona quasi come un affronto, per la filiera del gioco. Reso ancora più evidente se ad enfatizzarlo sono proprio gli stessi antagonisti che hanno condotto autentiche crociate contro il comparto dell’intrattenimento, e con le stesse motivazioni e principi che si rifiutano invece di ascoltare quando si parla dei giochi. Come il governatore dell’Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, il quale non ha usato giri di parole per commentare il risultato ottenuto in favore del vino: Definendolo “Una battaglia vinta nel nome del buonsenso e di un approccio equilibrato al tema del consumo di vino, che ha scongiurato il rischio di danni molto gravi a un prodotto che è sinonimo di cultura, tradizione e lavoro della terra e a un comparto economico fatto di tanto lavoro e tante imprese, fondamentale per l’economia regionale e nazionale”. Esprimendo soddisfazione per aver visto prevalere “un approccio equilibrato che distingue tra consumo moderato e consapevole e abuso di alcol, che va invece contrastato e prevenuto. È necessario salvaguardare gli obiettivi legati alla salute, altra cosa sarebbe stato penalizzare le filiere produttive”. Parole sante, verrebbe da dire.
Peccato però che in Italia, come nel resto del mondo, non esiste soltanto la filiera del vitivinicolo e, soprattutto, non esistono lavoratori di “serie a” o di “serie b”. O, almeno, non dovrebbero esistere. Ma tant’è. E chissà se un giorno in Europa si arriverà a votare anche su questo: in quel caso l’Italia non potrebbe certo rappresentare un esempio virtuoso.