All'indomani del voto in Europa è forse il momento di fare qualche riflessione. Non solo politica, ma anche economica e sociale. Guardando anche agli impatti e alle conseguenze per i vari mercati, come quello del gioco pubblico, che più interessa i nostri lettori. Il primo dato da rilevare – allarmante più che mai – è il rafforzamento del primo partito, in Italia e in Europa, che esce ancora più ricco di consensi anche rispetto alle precedenti elezioni politiche: stiamo parlando del Partito degli astensionisti, che continua a dominare la scena. Nel caso delle europee il fenomeno è senz'altro più accentuato perché gli elettori considerano queste elezioni meno importanti delle politiche e delle amministrative, ma il fenomeno è lo stesso. Guardando i dati generali, negli anni che vanno dalle prime elezioni europee nel 1979 a queste ultime la affluenza è scesa di 30 punti percentuali. Alle politiche, tra il 1979 e il 2022, è scesa di 26,7 punti, passando dal 90,6 al 63,9 percento. E l’affluenza in Italia cala più che altrove. L’astensionismo, naturalmente, è il risultato di un processo di lungo periodo e non soltanto figlio di questo momento storico, in cui si intrecciano fattori demografici, istituzionali, culturali e strettamente politici. Dovuto senz'altro – in partre - al ricambio generazionale, ma anche (e soprattutto) all’indebolimento dei partiti e alla sensazione sempre più diffusa che le elezioni non servono a produrre quel cambiamento che gli elettori chiedono. Questa volta, però, non c’è stata una crescita dell’affluenza in Europa rispetto alle precedenti elezioni. Nel 2019 invece l’incremento rispetto alle precedenti elezioni era stato di ben otto punti percentuali, invertendo una tendenza al ribasso che durava da molti anni. Rispetto alle elezioni del 2019 si è votato di più in Germania e un pochino di più in Francia, ma si è votato molto meno in Spagna. Anche se l’Italia, stavolta, sembra in controtendenza con un astensionismo minore rispetto al 54,5 percento del 2019. Ma comunque sopra al 50 percento. Anche se il calo - va detto - sarebbe stato maggiore se non si fosse votato anche in oltre 3mila Comuni con oltre 17 milioni di elettori. Anche se solo la metà di loro fossero andati a votare si tratterebbe comunque di oltre 8 milioni, la maggior parte dei quali - votando per il sindaco - hanno votato anche alle europee. Per stimare questo effetto di traino basta guardare i dati sull’affluenza nei Comuni dove si è votato sia per le europee che per le comunali e quelli in cui si è votato solo per le europee. Anche se i partiti le trattano come elezioni nazionali, le elezioni comunitarie non conquistano gli elettori – sempre più sfiduciati – perché a differenza delle politiche queste non servono a cambiare gli equilibri a Roma, quando peraltro degli equilibri a Bruxelles la gran parte degli elettori non sa nulla o quasi. E allora perché meravigliarsi che sempre più persone non vadano a votare? Tanto più che gli si chiede di votare per candidati con cui non hanno rapporti, vista la dimensione delle circoscrizioni, o per leader che non hanno nessuna intenzione di andare a Bruxelles una volta eletti. Insomma, anche se gli italiani sono mediamente poco informati, non sono comunque del tutto sprovveduti e per andare a votare hanno bisogno di motivazioni. Ed ecco perchè non si vota più.
E' quindi un problema di percezione, nonché di manzanza di fiducia, da parte dei cittadini (oltre che di valori, nella stessa politica). Con la classe dirigente attuale che non gode affatti di una buona immagine agli occhi dell'opinione pubblico. Con l'unica eccezione del leader di turno: anche se la storia recente ci insegna che la vita media di una leadership in Italia è assai breve. Basti pensare alla parabola di Matteo Renzi, che dall'exploit delle Europee passate, quando raggiunse l'incredibile quota del 42 percento (anche se, all'epoca, con il Pd), non riesce oggi neppure a superare lo sbarramento del 4 percento con Italia Viva e la sua coalizione insieme a Emma Bonino, che pure di Europa se ne intende. O si pensi ancora a Matteo Salvini e alla sua Lega, che risultano i maggiori sconfitti da questa tornata, dopo che appena qualche anno fa “il capitano” aveva conquistato gran parte della Penisola. Che dire poi del Movimento 5 Stelle e di Giuseppe Conte, praticamente eclissati da queste votazioni? Insomma, la sfiducia è crescente e la politica non gode più di una buona reputazione, in Italia. Una situazione che ricorda quella del gioco pubblico, per chi ci lavora, che da tempo (anzi, da sempre) non gode di una buona immagine e, peggio ancora, viene percepito in maniera distorta da gran parte degli italiani. E, forse, è proprio per questo che alcuni politici hanno pensato bene, nel tempo, di puntare il dito contro il comparto: individuando probabilmente l'unico universo vittima di un'immagine negativa alla pari – se non superiore – rispetto a quella della politica stessa. Ma questa è un'altra storia.
La percezione dei cittadini e la cattiva immagine della politica, come accade al gioco
Più interessante, invece, esplorare il tema della percezione degli italiani rispetto alla realtà dei fatti e – seppre indirettamente - alla realtà del gioco pubblico. Un esercizio immediato potrebbe scaturire dall'analisi della recente classifica dell’evasione divulgata dal Ministero delle Finanze nei suoi recenti documenti di aggiornamento, dalla quale emerge che nell’84 percento delle categorie monitorate dalle pagelle fiscali, più di metà dei contribuenti ha presentato dichiarazioni “inaffidabili”. E fra le platee più a rischio – udite, udite – ci sarebbero quelle delle lavanderie, ma anche degli impianti sportivi e dei centri di assistenza agli anziani. Ma si parla anche delle auto a noleggio, di ristoranti, panetterie, bar, pasticcerie, macellerie, e così via. La mappa del rischio evasione disegnata dalle dichiarazioni dei redditi delle partite Iva è vastissima e piena di dettagli. Ma i numeri mostrano che anche nella lotta all’evasione prevenire è meglio che curare. Per capirlo basta ribaltare la classifica, e vedere chi occupa le posizioni di fondo dove si concentrano le poche categorie in cui le pagelle fiscali brillanti sono la maggioranza. A staccare tutti sono farmacie e studi medici, con un tasso di affidabilità al 75 percento alimentato anche dal contrasto di interessi che aumenta il valore dei pagamenti tracciabili grazie agli sconti fiscali. Certo, il meccanismo non è generalizzabile perché una detrazione per tutte le spese tracciabili farebbe crollare il gettito; ma lì, come in molte delle attività paramediche, funziona. Fra i professionisti è da segnalare anche la performance di dottori commercialisti, ragionieri e consulenti del lavoro, il gruppo con la quota minore (42,5 percento) di pagelle fiscali opache seguiti in questa graduatoria da professionisti dell’informatica, geologi, veterinari e dentisti. Ma più in generale è il dato complessivo delle professioni ordinistiche a segnare tassi di “affidabilità” un po’ più elevati della media, e a essere quindi surclassato dal commercio nella partita del rischio evasione.
E il gioco pubblico? Ebbene, le imprese del mondo del gioco non compaiono nella lista. E il motivo è più che banale: perché in un contesto iper-regolato come quello del gioco di Stato, diventa praticamente impossibile “fare nero”. Sì, perchè ogni transizione in ogni prodotto di gioco, che sia fisico oppure online, viene tracciata dal Fisco e – addirittura – immediatamente assogetata al Prelievo erariale. Non c'è quindi modo di svadere, se non ovviamente praticando un'attività del tutto illecita, come quella di una bisca clandestina, che naturalmente sarebbe un caso analogo alla gestione di una lavanderia in casa propria, a un'officina meccanica in un garage privato o ad altre attività come usura, e così via. Ma qui siamo in un altro campo. Mentre il punto in questione è che nel gioco pubblico è impossibile praticare quell'abituale attività italiana del: “faccio fattura oppure sconto e paga cash”. Ecco quindi che il gioco appare, in questo senso (e non è neppure l'unico!) come un comparto virtuoso, anche se nessuno sembra accorgersene. Anzi, doppiamente virtuoso se si tiene anche conto del fatto che il settore del gioco diventa, al contrario, un modo straordinario per re-immettere capitali “neri”, generati da altri settori di cui sopra, nel circuito dello Stato, visto che chi ha denari liquidi ha più capacità di spesa e può quindi più serenamente sfidare la sorte in un prodotto di gioco per guadagnare qualcosa di più. In quel sistema che una mente illuminata come quella di Luigi Einaudi definì – forse anche troppo severamente - “la tassazione degli stolti”, indicando questo principio di auto-tassazione degli italiani attraverso il gioco d'azzardo (che all'epoca, per la cronaca, già esisteva, eccome, e non è affatto un'invenzione recente, a proposito di errate percezioni). Perché diciamo questo? Perché con tutta probabilità, se provassimo a chiedere agli italiani qual è il settore dove, secondo loro, si evade per la maggiore, forse molti indicherebbero proprio quello del gioco, per via della cattiva immagine di cui parlavamo sopra. Ecco perché il comparto deve lavorare seriamente alla costruzione di una propria immagine e al rapporto con politica e istituzioni, provando a scrivere anche un patto con la cittadinanza e con il Terzo settore, che può passare esclusivamente attraverso la conduzione di serie e concrete campagne di prevenzione, educazione e formazione, come fortunatamente abbiamo iniziato a sentir parlare negli ultimi anni e mesi.
Il cambiamento: nel gioco (nel fisco) e nella politica
Provando infine a unire tutti i puntini che abbiamo disseminato in queste poche righe di editoriale e cercando di tirare qualche somma, possiamo soltanto sottolineare l'importanza della riforma fiscale avviata da questo esecutivo attraverso la legge delega con la quale l'esecutivo intende, in primis, cercare di contrastare e arginare l'evasione, sempre più diffusa, e incrementare le attività di accertamente e recupero: ma al tempo stesso, e allo stesso scopo, con la stessa legge, intende anche riformare il comparto del gioco pubblico, per tracciare le basi di quel patto che abbiamo appena descritto, in logica di piena sostenibilità. In questo senso, dunque, il risultato delle recenti elezioni (astensionismo a parte) permette allo stesso esecutivo guidato da Giorgia Meloni di uscire rafforzato, potendo così portare avanti e sperabilmente a termine tutti gli obiettivi prefissati, tra i quali anche quelli fiscali e sul gioco. Anche se le conseguenze potrebbero arrivare in termini di equilibri interni alla maggioranza, dove i differenti “pesi” dei singoli partiti subiscono variazioni sopo il voto comunitario. Proprio come accade in Europa, dove la cosiddetta “Maggioranza Ursula” rimane stabile, sia pure rivisitata nei numeri e nella composizione delle singole parti.
E' arrivato quindi il momento di fare politica, per la politica, essendo finita l'ennesima campagna elettorale (peraltro, senza vincitori, ma solo con una serie di scontiffi). E per il governo, quello di governare, per i prossimi anni che rimangono al termine della legislatura.