Parziale o mancata: le due facce della riforma del gioco
La presunta riforma del gioco online e il mancato riordino generale del comparto stanno portando tutti i nodi al pettine mostrando tutte le criticità.
Se è vero (com'è vero) che il gioco pubblico italiano rappresenta un modello di regolamentazione a livello internazionale (lo vediamo proprio in questi giorni in occasione della fiera Sigma di Malta, dove si celebra ancora una volta una mezza giornata di lavori dedicata proprio al caso italiano), è vero pure che dal nostro sistema si può apprendere anche tutto ciò che non si deve fare per regolamentare efficacemente questo settore.
Ora, siamo chiari: lungi da noi voler essere ingenerosi o, peggio ancora, gettare fango su un comparto che rappresenta senza dubbio un'eccellenza - e pure un'avanguardia - a livello globale, ma ciò che vogliamo qui evidenziare è l'insieme di storture che compromettono l'intero sistema del gioco legale e lo fanno da anni.
Con l'aggravante che in questi ultimi mesi, pur potendo contare su circa venti anni di esperienza e quindi di maturità di questa industria - sia da un punto di vista operativo che sotto il profilo politico e regolamentare - il legislatore non ha saputo fare tesoro di questa esperienza vanificando in larga parte ciò che di (enormemente) buono è stato fatto finora.
Basta guardare ciò che sta accadendo in queste ore attorno alla (presunta) riforma sul gioco online, che ha portato dapprima alla sollecitazione di alcuni Stati membri a Bruxelles per quanto riguarda le nuove regole tecniche che caratterizzeranno il prossimo bando di gara, ma anche e sopratutto ciò che sta accadendo attorno alla regolamentazione dei cosiddetti Pvr (punti vendita ricariche online). Anche qui, come nella peggiore delle tradizioni italiane, ci troviamo di fronte all’instaurazione di un ampio contenzioso che interessa una lunga sfilza di operatori, grandi, medi e piccoli: segno evidente che la “riforma” del gioco online è finita con lo scontentare tutti. E anche chi, dietrologicamente, pensava o affermava che si potesse trattare di una “soluzione” pensata su misura per alcune singole aziende, si è dovuto ricredere vedendo ciò che sta accadendo, ovvero che anche i colossi italiani del gaming si trovano costretti a impugnare le norme attuative emanate dal regolatore.
Anche se, come hanno tenuto a sottolineare alcuni operatori intervistati da questa redazione, non si tratta di un “attacco” né di una critica nei confronti dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli e quindi del regolatore, ma di un mero atto “dovuto”, inevitabile, per tentare di arginare tutta una serie di rischi e anomalie legati a questa procedura di regolamentazione dei Pvr.
E, al di là dei singoli e specifici punti, oggetto del contenzioso e quindi di critica da parte degli addetti ai lavori, quello che pare evidente a tutti è che la situazione in cui ci si trova è figlia di un problema a monte e molto più ampio, relativo cioè all'impostazione data all'intera riforma del gioco online o, meglio, alla mancata riforma globale del gioco legale.
Sì, perché il tema vero è che una vera riforma del comparto degna di tale nome - come sarebbe dovuto essere l’antico riordino, di cui si parla dal lontano 2010 - voleva che ad essere razionalizzato e sistemato fosse l'intero mercato e non solo una parte di esso, qual è appunto il segmento dell'online: pena la creazione di una certa disparità di trattamento ma sopratutto il rischio di uno squilibrio di mercato.
Ma, guardandola da un punto di vista ancora più alto, il vero “delitto” commesso dal legislatore scegliendo di procedere in questo senso è l'aver perso una vera, straordinaria, e sopratutto unica, opportunità di fare le cose per bene. Essendo ormai oggi, nel 2024, ovvero in una fase avanzatissima per quanto riguarda il mercato del gioco ma anche e sopratutto di evidente evoluzione e sviluppo tecnologico, guardando per esempio ciò che avviene in materia di intelligenza artificiale, blockchain, metaverso e quant'altro, appare davvero anacronistico (e diciamolo pure anche ridicolo), continuare a ragionare con un'impostazione desueta come quella, ahinoi, tutt’ora vigente nel mercato del gioco, che vede ancora la totale separazione tra i due canali di fisico e online, mentre tutto il mondo, gaming compreso, continua a parlare di multicanalità se non addirittura di omnicanalità.
Invece, nel gioco legale italiano il legislatore ha scelto di adottare la strada più semplice di tutte: ovvero quella di guardare quasi ed esclusivamente al lato economico e a nient'altro, preoccupandosi quindi soltanto di numeri e di entrate erariali, prestando grandissima attenzione al tema aliquote, quota di accesso al mercato e così via, ma senza preoccuparsi di rivoluzionare davvero un mercato altamente tecnologico e sofisticato.
Alcuni ricorderanno che quando si iniziava a parlare di riforma del gaming, tra le varie opzioni c'era chi auspicava anche un'unione del comparto terrestre ed online, almeno una trattazione unificata, ipotizzando addirittura una interoperabilità delle concessioni: cosa che sarebbe stata evidentemente molto più complessa dal punto di vista giuridico e normativo perché avrebbe significato riscrivere per intero tutte le regole del comparto.
Ma questo sforzo avrebbe consentito di superare tutte quelle criticità che la filiera si porta dietro da troppo tempo, fino ad esplodere con le varie anomalie come quelle rappresentate per esempio dal sistema di Pvr.
Se a tutto questo poi aggiungiamo l'altra enorme anomalia ed altro oggetto di vergogna per il legislatore italiano, qual è il decreto Dignità - che, vietando ogni possibilità di promozione e comunicazione del gioco, è finito con l’enfatizzare inevitabilmente il ricorso ai Pvr -, troviamo allora un altro elemento oggetto di attenzione e addirittura una priorità da andare a rivedere e ridefinire all'interno di una riforma.
Invece tutto questo non è accaduto e il legislatore ha continuato a operare con la vecchia solita impostazione mantenendo la separazione dei canali e, con essa, quindi, anche lo scompiglio che già c'era, enfatizzandolo pure, tenendo conto delle difficoltà moderne di transizione verso le nuove regole.
Benvenuti in Italia, dunque, verrebbe da dire ai tanti operatori esteri che hanno scelto di dare fiducia al mercato di casa nostra e in alcuni casi anche attraverso grandissimi investimenti. Mentre agli italiani che hanno scelto di lavorare in questo “benedetto, assurdo Bel paese”, come cantava qualcuno, l’augurio e l’invito, è quello di tenere duro. Perché prima o poi arriveranno i tempi migliori, si spera.
Purtroppo questa è l’Italia: nel bene e nel male. E questo è il suo gioco pubblico, che ne rappresenta una perfetta sintesi: offrendo da un lato un mercato molto ampio, sfidante ed evoluto, ma dall’altro, un ecosistema instabile, critico, conflittuale, che finisce spesso col far passare anche la voglia di lavorare, al di là dei possibili guadagni.