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Proibizionismo, vedi Napoli e poi muori: perchè il riordino passa da qui

04 dicembre 2023 - 13:07

Dalla Campania soffiano scenari di (possibile) cambiamento per il gioco pubblico: con una proposta e un'occasione concreta per il riordino del gioco pubblico.

Ma è davvero possibile pensare di riformare il gioco pubblico, arrivando a quell'attesissimo Riordino generale del comparto, passandro attraverso il confronto della Conferenza Stato-Regioni? E' questa, forse, la domanda che si è posto più di qualcuno, dentro e fuori all'industria del gioco pubblico, tenendo conto non tanto e non solo della lunga (lunghissima) attesa che sta accompagnando questo presunto processo di riorganizzazione del settore, ma ricordando più che altro le immense difficoltà che si erano incontrate negli anni precedenti nell'affrontare la complessa materia dei giochi all'interno dell'organismo istituzionale che riunisce i rappresentanti dei territori. Quando il governo guidato da Matteo Renzi prima, e quello di Paolo Gentiloni poi, provarono a raggiungere una faticosa intesa con gli enti territoriale, attraverso l'allora sottosegretario all'economia Pier Paolo Baretta, delegato a trattare la materia del gioco pubblico. E l'intesa, di fatto, venne raggiunta: anche se si è trattato di una trattativa al ribasso, dalla quale probabilmente sono usciti tutti sconfitti. A partire dallo Stato, che in quel modo rinunciata ad alcune delle sue prerogative, oltre a mettere sostanzialmente da parte il principio della Riserva di legge, che continuava a valere sul settore praticamente solo sulla carta. Ma ad uscirne malconcia era anche e soprattutto l'industria del gioco, che vedeva proseguire, ancora irrisolta, l'annosaQuestione territoriale, che proprio quell'intesa avrebbe dovuto superare: continuando quindi a tenere in sospeso un'intera filiera economica e produttiva, che proseguiva a vivere alla giornata, con le gare per il rinnovo delle concessioni che continuavano ad essere impraticabili. Ma la verità è che ad uscire sconfitte da quella trattativa furno anche le Regioni: al punto che quell'accordo non ha mai sostanzialmente conosciuto sviluppi formali, con gran parte delle amministrazioni comunali che si sono viste costrette a fare marcia indietro rispetto alle loro stesse decisioni, abrogando o modificando le rispettive leggi locali, visto che lo Stato non era riuscito a togliere le castagne dal fuoco, nonostante quel lungo percorso e quel presunto accordo.
Una matassa, dunque, decisamente ingarbugliata e che né alcun governo, né tantomeno la Conferenza Stato-Regioni, è mai riuscita a districare. Motivo per cui è lecito domandarsi oggi se mari davvero si potrà riuscire a farlo, ora che il governo di Giorgia Meloni - uno dei pochisimi esecutivi eletti direttamente dal popolo degli ultimi decenni – ha deciso di mettere mano alla riforma, attraverso la Legge Delega, stabilendo però di far passare nuovamente il tutto per la Conferenza unificata. Eppure, oggi, la situazione che ci si trova di fronte è completamente diversa da quella di allora, al punto da rendere tecnicamente fattibile, e oggettivamente molto più racile, il raggiungimento di una vera intesa. Sì, perché, come ha fatto notare su queste pagine l'ex sottosegretario Baretta, lo scenario politico e territoriale attuale è ben diverso da quello con cui doveva fare i conti lui all'epoca. Se non altro perchè ben 15 regioni su 20 sono amministrate oggi da forze che appartengono alla maggioranza, rendendo quindi molto più semplice ogni tipo di allora. Mentre nel 2016-2017, quando si era tentato l'accordo, la Conferenza rappresentava un terreno di scontro feroce su qualunque tema (e peggio ancora sul gioco), tenendo conto che i territori di maggior peso appartenevano prorpio all'opposizione. Oggi, invece, l'opposizione non solo ha un ruolo minimo, ma anche molto più moderato: e pure costruttivo. Come emerge proprio dalle parole del settosegretario Baretta e dal recente incontro degli operatori andato in scena a Napoli, dal quale emerge la proposta di un “modello Campania” da proporre come esempio di buona pratica nella regolamentazione del gioco pubblico. Visto anche lì c'era una giunta che voleva limitare seriamente il gioco, attraverso l'emanazione di una legge regionale, che è stata poi modificata dopo una lunga concertazione e un lavoro di squadra che ha portato alla creazione di un ecosistema sostenibile. Anche se ancora da perfezionare. Ecco quindi che il governo potrebbe davvero sistemare una volta per tutte la questione del gioco pubblico, all'interno della Conferenza, accettando di raggiungere una mediazione e provando a seguire gli esempi locali: ma per farlo, come al solito, servirà una (vera) volontà politica e non solo una (buona) capacità di mediazione, evitando di suicidarsi con le proprie mani, come troppo spesso accade. In questo senso, il primo rischio che corre l'attuale esecutivo rispetto alla vanificazione dell'obiettivo potrebbe scaturire dal processo di attuazione della stessa delega (e/o dalla Legge di Bilancio) che, come noto, dovrebbe portare all'anticipazione della gara per le concessioni online: un passaggio, questo, che potrebbe rivelarsi a tutti gli effetti un autogol rispetto alla scrittura di una vera riforma generale del comparto, visto che il riordino è e deve essere complessivo dell'intera industria, mentre l'anticipazione della gara porterebbe a un disallineamento della materia legato a due canali (online prima, e terrestre dopo) nonché a un possibile disequilibrio tra i due segmenti del gioco. Il secondo fronte degno di attenzione, tra i possibili rischi, è sempre legato alla stringente attualità politica ma riguarda questa volta il Pnrr: proprio durante la settimana corrente, infatti, la piattaforma governo-regioni sarà terreno di possibile sconto per quanto riguarda il piano di riforma della coesione perseguito dal Ministro per i rapporti con il Sud Raffaele Fitto, dopo che con la “milestone” inserita nella revisione del Pnrr il ministro punta a superare le resistenze delle Regioni e ad aggirare le riserve della commissaria europea alle Politiche regionali, Elisa Ferreira, la quale insiste sul carattere territoriale della politica di coesione e sul ruolo delle regioni nella gestione dei fondi strutturali europei. Quello che ha previsto Fitto, in pratica, inserendo nella revisione del Pnrr la “milestone” sulla riforma, è aggiungere un vincolo europeo su cui fare leva per costringere le regioni ad accettarla. Una vera e propria forzatura che gli consentirebbe di non dover modificare l’Accordo di partenariato 2021-2027 su cui a febbraio scorso aveva già ricevuto un altolà proprio dalla commissaria portoghese, provando così a portare a casa il decreto di riforma, atteso entro gennaio, che concentrerebbe le risorse sui servizi essenziali (trasporti, risorse idriche, gestione dei rifiuti, dissesto idrogeologico) soprattutto per le regioni del Sud. Introducendo la previsione di una sanzione per le regioni che non completeranno i progetti entro le scadenze. Dal punto di vista giuridico e istituzionale – a detta degli esperti, questa operazione appare un po’ azzardata e potrebbe prestare il fianco ad un contenzioso tra Stato centrale e regioni, con il rischio di rallentare ancora di più l’attuazione della programmazione (e se la riforma non fosse approvata in tempo sarebbero inevitabili le ripercussioni anche sul Pnrr): una situazione, quindi, del tutto simile a quella del gioco online, visto che anche qui si annunciano già ricorsi in caso di approvazione, ma che potrebbe – peggio ancora – tornare a infiammare lo scontro anche in Conferenza Stato-Regioni. E anche di questo, di certo, non se ne sente affatto il bisogno. Soprattutto nel mondo del gioco.
 

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