Riforma fiscale e Testo unico: alternative (o spinte) al Riordino
Mentre il comparto del gioco attende ormai da anni il Riordino generale, la nuova legislatura offre nuove possibilità, attraverso la riforma fiscale.
Parliamoci chiaro: il Governo ha davanti a sé due anni di tempo per sistemare il settore e traghettarlo verso l’emanazione delle gare per il rilascio delle nuove concessioni. Questo, infatti, è il tempo che si è preso l’Esecutivo andando a prorogare le concessioni in scadenza e allineandole tutte al 2024.
Un periodo sufficiente, non c’è dubbio, per studiare a fondo la materia e produrre soluzioni efficaci, se ci sarà la volontà di farlo. Nel frattempo però rimane il problema per chi ha già in mano le concessioni vigenti – e, di conseguenza, l’intero indotto che ne deriva, fatto di imprese di gestione, esercenti, distributori, per un totale di oltre centomila persone – che a quelle scadenze ci dovrà arrivare.
E i venti di proibizionismo che continuano a soffiare da alcuni territori (non soltanto dal Trentino, come abbiamo visto nelle ultime ore, leggendo alcune posizioni provenienti anche dal centralissimo Lazio), non promettono nulla di buono. Anzi. Rendendo vieppiù urgente una riforma dell’intero sistema del gioco pubblico. Ma questa non dovrà arrivare necessariamente da un Riordino, come immaginato fino ad oggi, quindi da una legge delega ad hoc. Sì, perché il Governo ha in mano altri strumenti, altre possibilità e opportunità, se solo vorrà intervenire sulla materia. Tra i punti chiave del programma dell’Esecutivo guidato da Giorgia Meloni, infatti, c’è da sempre il tema della riforma fiscale: una delle incompiute lasciate dal precedente Governo di Mario Draghi. E il 2023 potrebbe essere proprio l’anno in cui verrà compiuto questa attesa riforma, con l’Esecutivo che appare deciso a percorrere questa strada. Anche se dovrà fare i conti con più di una variabile.
Chi ha buona memoria ricorderà che all’interno di quella presunta riforma, c’era spazio anche per il gioco pubblico, con la fine anticipata della legislatura che aveva impedito l'approvazione della legge delega predisposta dal precedente Governo, facendola decadere insieme alle speranze – fino a quel momento piuttosto vive – di arrivare anche all’atteso riordino del gioco. Con la proposta di delega ad esso dedicata che non era riuscita ad arrivare neppure sul tavolo del Consiglio dei ministri. Ma l’esito era, forse, pressoché inevitabile, a causa di una maggioranza troppo composita per produrre un progetto di riforma organico, troppi i vincoli politici, troppi i temi divisivi, al di là e molto prima di quello del gioco.
Ora però, con un quadro politico cambiato, il Governo Meloni riprende in mano il tema. E le indicazioni su metodo e contenuti sono arrivate dal vice ministro dell'Economia e delle finanze, Maurizio Leo, che ha la delega per le tematiche fiscali, in un'audizione davanti al Parlamento. Il punto di partenza non potrà che essere il lavoro portato a un passo dal traguardo dal Governo Draghi. Con l’obiettivo, però, di estrarne il meglio per traghettarlo in una nuova legge delega che abbia però “criteri direttivi - come ha spiegato Leo - ben più chiari e precisi del vecchio disegno di legge che erano carenti in molte parti”. E che dovrebbe essere presentata nel corso del mese di gennaio 2023.
Alcune anticipazioni dell'ambizioso programma del Governo sono già arrivate dalla legge di Bilancio appena entrata in vigore: si pensi alla micro-riduzione del cuneo o all'allargamento della “flat tax” fino a 85mila euro di ricavi o alla previsione della flat incrementale solo per il lavoro autonomo. Ma se il 2023 sarà sicuramente l'anno della legge delega, è pur vero che una delega, come dimostra il passato, non vuol dire necessariamente una riforma. La delega, però, potrà fissare le linee guida. Bisognerà poi vedere quanto e come troverà spazio, politico e finanziario, la sua attuazione che deve passare dall'approvazione di molti decreti legislativi con percorsi condivisi fra Governo e Parlamento, complessi e faticosi. Saranno senz’altro determinanti la coesione politica che le forze di Governo sapranno avere per affrontare temi divisivi per definizione come quelli fiscali. E, inoltre, altrettanto decisivi saranno gli spazi finanziari che gli eventi economici e politici lasceranno al Governo.
Intanto, però, è già una buona notizia il fatto che il Governo voglia occuparsene, con convinzione. Stando a quanto emerso fino, dopo una prima bozza di testo, partirà il confronto con i professionisti e le categorie, a seguire ci sarà un tavolo politico e quindi la valutazione dell’Esecutivo. Il testo a cui sta lavorando il vice ministro all’Economia con delega al fisco Maurizio Leo sarà pronto per essere presentato al Consiglio dei ministri “a febbraio e marzo”. Spiegando che si sta lavorando alla riforma fiscale in collaborazione con l’Agenzia delle entrate e il Dipartimento delle finanze del Mef.
La legge delega, come anticipato da Leo, sarà strutturata in quattro parti. Una prima “riguarderà i principi”, con un’armonizzazione dei principi Ue, internazionali e lo Statuto dei contribuenti. In questa parte sarà prevista un “razionalizzazione degli interpelli”. La seconda parte riguarderà i tributi. Il cuore della riforma sarà quella dei procedimenti (ce ne sono quattro: dichiarativo, accertamento, riscossione e contenzioso tributario), ma la parte che più interessa al gioco (si spera) è l’ultima parte della riforma, che riguarderà i Testi unici. È qui, infatti, che potrebbe (dovrebbe?) inserirsi il tema del gioco, arrivando alla stesura di quel Codice dei giochi di cui si parla ormai da oltre dieci anni, senza mai discuterne davvero, né tanto meno lavorarci sopra.
Ma questa, dicevamo, potrebbe essere la volta buona. E, forse, la strada migliore da percorrere per arrivare a una vera riforma del gioco pubblico e a un riordino de facto che potrebbe garantire quella stabilità e impronta di certezza, necessaria non solo per arrivare all’emanazione delle gare, ma anche per dare un futuro a quelle centinaia di migliaia di lavoratori e alle imprese del settore di cui parlavamo prima. Garantendo quindi occupazione, lavoro e reddito, oltre alle entrate erariali e alla sicurezza per i consumatori che solo un presidio di legalità come il sistema del gioco di Stato può garantire. E scusate se è poco.
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