Ci mancava solo il green pass per i titolari delle attività di gioco pubblico, già duramente colpiti dall'emergenza sanitaria e che ancora oggi continuano ad arrancare, nella disperata ricerca di recuperare i fatturati perduti negli ultimi 15 mesi, aggravati ulteriormente dai vari costi sostenuti nello stesso periodo e in fase di ripartenza per adeguare i propri locali alle nuove disposizioni.
In questo scenario di grande difficoltà e di ancora forti incertezze, l’estensione dell’obbligo di verificare il certificato vaccinale all'ingresso di ogni locale introduce nuovi oneri in capo agli operatori che si traducono inevitabilmente in costi ulteriori.
Stando a quanto prevede il Dpcm del 17 giugno (articolo 13), i titolari/gestori dei locali in cui bisogna esibire il pass rientrano infatti nella pletora dei “controllori”, alla stregua dei pubblici ufficiali. Potendo (dovendo) tuttavia delegare dei propri lavoratori alle verifiche, ma solo se “incaricati con atto formale recante le necessarie istruzioni sull’esercizio dell'attività di verifica”.
Serve quindi la nomina formale del datore di lavoro per delegare il controllo su green pass, come viene spiegato dalla Fondazione Studi dei consulenti del lavoro in un approfondimento pubblicato nelle ultime ore. In questo modo (e solo in questo) il controllo può essere quindi svolto, almeno potenzialmente, da tutti i lavoratori di un’azienda, sia che si tratti di soci/titolari sia di lavoratori dipendenti o collaboratori.
Con la nomina che potrebbe (e, forse, dovrebbe) essere “affiancata” da un’attività di formazione, a carattere pratico. Nonostante il controllo del Qr-code non costituisca trattamento del dato ai fini privacy, infatti, il lavoratore delegato potrebbe commettere degli errori. È il caso, ad esempio, della richiesta di copia del pass cartaceo o della certificazione medica di esenzione dal pass stesso. Per questo motivo il lavoratore delegato dovrà poter contare su una formazione idonea, così da evitare comportamenti illeciti, che in un paese come il nostro potrebbe rappresentare l’ordine del giorno. Questo, infatti, è il rischio maggiore, tenendo conto delle complessità applicative - e non solo interpretativa - delle norme, come già evidenziato dalle diverse sigle del comparto.
Complessità che diventano ancora più accentuate nei locali di intrattenimento per famiglie dove le categorie esentate (per esempio gli under 12 o le donne incinte) si mescolano agli altri soggetti per i quali vige “l’obbligo” (indiretto) di vaccinazione. Perché di questo, in effetti, si tratta. Con la sensazione ormai sempre più diffusa che tali ulteriori limitazioni vadano ad ampliare e rendere ancora più profonda quella frattura creata dalla pandemia (e dalla gestione della stessa) tra lo Stato e i cittadini che si sentono privati delle libertà individuali. In un clima di esasperazione sempre più generale e dominante.
Per una frattura, quindi, tra corpo sociale e rappresentanza politica, che rischia di portare a un conseguente rigetto dell’intero sistema politico da parte dei cittadini; come evidenziato saggiamente da Stelio Mangiameli, ordinario di diritto costituzionale nell’Università di Teramo, esperto di regionalismo ed enti locali.
L’andamento della pandemia e la necessità di ricorrere all’obbligo vaccinale via passaporto sanitario, secondo Mangiameli, potrebbe estremizzare il rapporto tra italiani “no-vax”, o comunque contrari all’obbligo, e Parlamento, mettendo in difficoltà il governo e portando a nuove chiusure. Che è proprio quello che tutti vorrebbero evitare: dai politici ai singoli cittadini. Passando, soprattutto, per i lavoratori e per gli stessi gestori dei locali pubblici, che proprio per questa ragione hanno accolto con grande senso di responsabilità - e non solo di sacrificio - anche il green pass, se questo significa non dover richiudere.
Sarà quindi bene che ognuno faccia la propria parte in questa sfida, ancora difficile e probabilmente lunga, proposta dalla pandemia, per raggiungere quell’obiettivo comune che vorrebbe dire il ritorno alla normalità. Ma nella stessa logica di compartecipazione e con lo stesso senso di responsabilità dimostrato dai lavoratori del gioco pubblico, la politica dovrà adesso fare anche il passo successivo, pensando al comparto, che è quello delle riforme. Andando ad attuare quell’atteso Riordino di cui tutti, ormai, ravvisano (o comunque capiscono) l’esigenza.
Se è vero (come è vero) che nessuno tra gli addetti ai lavori può dichiararsi contrario all’introduzione del green pass, essendo lo scopo principale quello di tutelare la salute pubblica e di conseguenza anche l’economia e le imprese, allo stesso modo la politica e le istituzioni non possono (più) dichiararsi sordi di fronte alla necessità di riformare il comparto. E forse non è un caso se nelle ultime settimane tutte le parti in causa, a vario titolo, sono uscite allo scoperto dimostrando di comprendere le ragioni e le criticità del comparto e di confidare in una definitiva soluzione. Lo hanno detto, in maniera chiara e definitiva sia il governo che l’Agenzia delle Dogane, in occasione dell’evento organizzato da Gioco News ed Sbc che aveva proprio lo scopo di fare il punto della situazione sul comparto in vista della sua riorganizzazione, ma lo hanno spiegato - o, comunque, hanno dimostrato di capirlo - anche i rappresentanti degli enti locali.
Come dimostra l’inchiesta pubblicata sul nostro giornale, dove parlano sindaci e assessori competenti, ma come emerso pure in occasione dei consigli regionali e delle giunte in quelle Regioni che rappresentavano delle autentiche “zone rosse” per il gioco (come il Lazio o il Piemonte) dove alla fine è prevalso il buon senso e la razionalità (sia pure con troppe difficoltà).
Ma a proposito di inchieste: un contributo prezioso in questo processo di riforma del settore potrebbe arrivare dalla nuova Commissione appena costituita in Parlamento che ha proprio lo scopo di analizzare a fondo la situazione, e dalla quale ci si augura di ricevere un contributo serio e concreto ma sopratutto scevro da pregiudizi e proiezioni ideologiche che niente hanno a che vedere con la realtà. Distorcendola, al contrario, fino a creare nuovi squilibri e disagi, proprio come quelli che il riordino è chiamato oggi a risolvere.