Fino a che punto si può spingere il legislatore con l'esercizio delle proroghe per le concessioni di gioco? Una domanda, questa, che risulta quasi retorica in un paese come l'Italia, in cui il tema delle concessioni è già stato ampiamente (bis)trattato anche e soprattutto al di fuori del gioco. Basti pensare a quello che accade, da più o meno trent'anni, con quelle balneari, o ciò che è accaduto con quella di Autostrade. Sta di fatto però che in un mercato così complesso e delicato come quello del gioco pubblico, l'idea di procedere con il prolungamento perpetuo delle autorizzazioni, non solo rappresenta una criticità (e anomalia) in termini di concorrenza e di “libera circolazione di beni e servizi” tanto cara all'Europa: ma si rivela anche controproducente per lo stesso mercato e quindi, a lungo andare, anche per l'Erario. Sì, perché al di la dell'immediato ed evidente beneficio che ne può ricavare lo Stato, ottenendo soldi facili e garantiti senza alcun tipo di sforzo (incassando immediatamente le quote richieste per il rinnovo, con tanto di rincaro per l'industria, senza doversi preoccupare di procedere con riforme complesse), il prolungamento dello status quo in questo particolarissimo settore, non vuol dire soltanto garantire gli asset costruiti nel tempo dai titolari di concessioni e i loro investimenti, come avviene negli altri casi (vedi i balneari), ma significa anche portarsi dietro i tanti problemi e le criticità che si sono sviluppati e sommati in questi anni senza risolverli né gestirli in alcun modo. Col risultato che, con il passare del tempo, il protrarsi di queste anomalie ha portato al progressivo sgretolamento di un pezzo della filiera, cioè quello del gioco terrestre, che continuerà quindi a enfatizzarsi inesorabilmente anche nei prossimi due anni per i quali è previsto l'ultimo prolungamento delle autorizzazioni.
Come ha certificato il recente studio della Cgia di Mestre di cui ci siamo occupati diffusamente su queste pagine, la filiera del gioco terrestre e, in particolare, il segmento degli apparecchi da intrattenimento ha risentito e sta risentendo fortemente del cambiamento normativo (dovuto per lo più alla questione territoriale) e della transizione digitale, assistendo a un progressivo spostamento dei giocatori verso l'online. E se si tiene conto che tale segmento rappresenta ancora oggi quello di maggiore contribuzione per le casse dello Stato, è evidente che il problema di cui stiamo parlando si presenta non solo per gli addetti ai lavori, ma sarà trasferito ben presto anche all'Erario e il governo di turno sarà costretto a gestirlo, stavolta d'urgenza, per non correre il rischio di ritrovarsi con un forte calo delle entrate. Di questi temi (e non solo) si è occupato un altro recente (e interessante) studio, cioè quello dell'Istituto di competitività I-com, che attraverso un’analisi della fiscalità nel settore emerge un quadro “non solo caratterizzato da una significativa disomogeneità normativa rispetto ai singoli prodotti, ma anche da interventi di modifica delle aliquote o delle forme di prelievo erariale che negli anni scorsi hanno determinato una forte incertezza per operatori e giocatori”. Spiegando nello specifico che negli ultimi anni abbiamo assistito ad un costante ricorso allo strumento delle proroghe delle concessioni, “dapprima in fase emergenziale pandemica sono state necessarie per garantire la stabilità del settore”, e che oggi “risultano comunque necessarie alla luce del mancato riordino territoriale precedentemente discusso”. Evidenziando come “Tale scelta risulta apprezzabile nella misura in cui si garantisce l’esercizio dei diritti dei prodotti di giochi a fronte di specifiche risorse decise annualmente, che sono quindi sostitutive di iniziative normative fiscali che hanno spesso indebolito il mercato e determinato spostamenti della domanda sull’illegale”. Ma al tempo stesso il ricorso sistematico all’istituto della proroga “è avvenuto in assenza di un accordo politico che fornisse una prospettive e certezze al settore, impedendo la celebrazione delle gare necessarie per garantire investimenti e innovazioni finalizzati alla tutela del giocatore e al contrasto al gioco illegale. Il rischio, oggi, è pertanto quello di far diventare questi strumenti delle barriere all’entrata per nuovi operatori, oltre che determinare nei fatti una progressiva riduzione dell’interesse del mercato nei confronti di prodotti obsoleti e poco competitivi”. Oltre a sottolineare il rischio di quella che viene definitiva una possibile “balnearizzazione” del settore agli occhi delle istituzioni europee. Non solo. L'I-com osserva anche che le concessioni nell’ambito del settore dei giochi sono per natura lunghe (novennali) al fine di garantire l’ammortamento dei costi e ritorni sugli onerosi investimenti. Le recenti proroghe, oltre che quelle attualmente in discussione per la futura legge di bilancio, determinano un allungamento delle suddette ben oltre la durata novennale, arrivando in taluni casi fin quasi al doppio della durata originaria e questo “implica un effetto di riduzione del valore delle concessioni stesse, oltre che conseguenze negative per gli investitori e per l’erario”. Per tutte queste ragioni, dicono gli esperti, in vista e in attesa di un complessivo riordino dell’intero comparto, è auspicabile che il legislatore tenga conto degli effetti derivanti dalle proroghe concessorie anche al fine di definire un nuovo quadro fiscale orientato all’incremento delle finanze pubbliche, alla stabilità regolatoria e quindi ad un’attualizzazione idonea del valore dei diritti delle concessioni da mettere a gara.
Quindi, in estrema sintesi, ben venga l'ulteriore proroga delle attuali concessioni - sia pure doppiamente onerosa – ma solo se necessaria a gestire e risolvere una volta per tutte l'annosa “Questione territoriale”, cioè sfruttando i prossimi mesi per la quadratura del cerchio in sede della Conferenza Unificata, per poi arrivare alla stesura del cosiddetto riordino. Altrimenti, procedendo di questo passo, tra qualche anno non ci sarà più nulla da riordinare, assistendo alla progressiva estinzione di un pezzo di mercato, insieme alle aziende che lo compongono. E se uno scenario di questo tipo appare deprecabile se dettato dal progresso tecnologico o dal cambio dei costumi della società, diventerebbe a dir poco insopportabile se la ragione fosse da attribuire al lassismo del legislatore e alla malapolitica.
Certo, va detto, il paese si trova ancora una volta in un periodo non proprio roseo dal punto di vista dell'economia, al punto da richiedere non pochi sacrifici, che il governo sembra voler spalmare un po' tra tutti i settori. Ne è una prova l'ultima trovata dell'esecutivo appena inserita nel testo della legge di bilancio (che proprio in queste ora inizia l'iter parlamentare) con cui inserisce una modifica alle agevolazioni Iva, spostando dal 10 al 22 percento la tassazione dei rifiuti conferiti in discarica. Un’altra tax expenditures cancellata che consentirà allo Stato di far cassa recuperando 148,1 milioni di euro per il 2025, anche se non piace certo all'industria. Come non piace neppure, a nessuno, l'introduzione della cosiddetta Web Tax, proposta (e raccontata) per contrastare il potete illimitato dei colossi come Amazon, Meta e Google, che è finita però col trasformarsi in un balzello per qualunque tipo di impresa che genera ricavi attraverso il digitale. Per un'altra misura che sta facendo discutere in molti, e disperare in tanti, se non verrà modificata.
Tutto ciò per dire che il comparto del gioco non è l'unico a potersi lamentare e a dover subire la scure del Mef. E anche se il mal comune non si può portare in nessun modo al mezzo gaudio, in questo ambito, lascia tuttavia intendere che forse, questa volta, per il settore poteva andare anche peggio e non è quindi il caso di lamentarsi troppo. Anche se il gioco è da troppi anni che sconta, ad ogni manovra, un trattamento al ribasso, e non certo nelle aliquote, anzi. Al punto da non aver più le tasche piene, ma benaltro.