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Gioco a Reggio Emilia, Tar: 'No effetto espulsivo, libero il 6,4% del territorio'

19 aprile 2023 - 16:29

Il Tar Emilia Romagna rigetta il ricorso del titolare di due sale scommesse di Reggio Emilia contro i provvedimenti regionali e comunali che restringono l’esercizio del gioco. Le motivazioni.

Scritto da Fm

Non è in definitiva configurabile il cosiddetto 'effetto espulsivo' dal territorio comunale. Va in questo senso apprezzato l'accertamento del verificatore, ad avviso del quale la ri-collocazione nel territorio comunale dell'attività della sala giochi, quale quella della ricorrente, non è né esclusa né resa particolarmente gravosa – tale cioè da rendere in concreto inesigibile la delocalizzazione, dal punto vista materiale e/o economico – dalla tipologia degli ambiti territoriali di destinazione”.

Questa è una delle motivazioni con cui il Tar Emilia Romagna rigetta il ricorso introduttivo e i motivi aggiunti con cui il titolare di due sale scommesse ippiche e sportive ubicate nel comune di Reggio Emilia ha censurato i provvedimenti regionali e comunali che hanno introdotto restrizioni all’esercizio delle sale gioco e scommesse e all’installazione di apparecchi di gioco d’azzardo, con obbligo di delocalizzazione qualora insistano a una certa distanza (meno di 500 metri) dai luoghi sensibili.

I giudici amministrativi riportano alcuni stralci della relazione del verificatore incaricato di appurare la sussistenza dell'effetto espulsivo del gioco legale lamentato dal ricorrente.

“L’applicazione della distanza di 500 metri (buffer) dai siti sensibili individuati dall’Amministrazione comunale di Reggio Emilia, non determina che non sia in assoluto possibile la loro localizzazione, in quanto l’applicazione del criterio della distanza dai luoghi sensibili non comporta un’impossibilità assoluta dell’esercizio delle attività all’interno dell’intero territorio urbanizzato. La localizzazione rimane infatti possibile e ammessa in alcuni e specifici ambiti della città, che riguardano circa 296,8 ha - dato come visto ridotto attraverso un’interpretazione dello stato dei luoghi che ha verificato l’effettiva consistenza urbanizzativa - e rappresentano il 6,4 percento del territorio urbanizzato. Un valore quantitativo e qualitativo che appare significativo in rapporto all’estensione del territorio urbanizzato e alla sua specifica configurazione insediativa e morfologica”, riporta la sentenza del Tar Emilia Romagna.

Inoltre, “dal punto di vista urbanistico – funzionale generale, le aree potenzialmente ospitali le funzioni del gioco d’azzardo lecito sono prevalentemente rappresentate da ambiti a destinazione produttiva – artigianale e/o caratterizzate da funzioni urbane miste e terziarie. Infine, anche nel caso astratto e poco probabile che tutte le attività di gioco d’azzardo legale autorizzate e in esercizio in ambito comunale alla data di entrata in vigore della legge regionale decidessero la loro delocalizzazione – fattispecie assai poco probabile dal punto di vista delle effettive scelte e volontà imprenditoriali - appare comunque possibile che tali attività possano delocalizzarsi nelle porzioni urbane urbanisticamente ospitali individuate, in ragione della loro non trascurabile dimensione quantitativa, anche in rapporto all’eventuale domanda generata”.

 

Nella sentenza poi il Collegio evidenzia che “non può negarsi l'opportuna quanto necessaria previsione di un periodo transitorio idoneo a tutelare gli investimenti effettuati dagli operatori economici già in esercizio al momento dell’entrata in vigore della norma, quale strumento di contemperamento con le esigenze di tutela della salute, ferma naturalmente restando l'esigenza di verificare la concreta possibilità della prevista delocalizzazione che, se in ipotesi impedita nell'ambito infra comunale, si ridurrebbe ad inutile petizione di principio e avrebbe contenuto sostanzialmente ablatorio. Ma  la circostanza della difficoltà di reperimento di locali commerciali liberi appare irrilevante, trattandosi di conseguenza non imputabile alla misura restrittiva in contestazione e dunque di una barriera all'ingresso discendente dalla normativa regionale, ma piuttosto di impedimento meramente fattuale dipendente dallo stato di fatto dei luoghi”.

Però “non spetta al Comune l’individuazione dei siti alternativi, e ciò è logico trattandosi di scelte imprenditoriali spettanti a ciascun operatore. Sulla durata del periodo congruo ogni questione si sposta “a valle”, dal momento che la durata del periodo di 'stabilità' dipende dall’ammontare dell’investimento e comunque la legge garantisce fino a 10 anni di permanenza che appaiono ragionevoli rispetto al mercato di riferimento. L’apprezzamento dei Comuni sulla possibilità di una riapertura del termine rappresenta infine un’opzione accettabile in presenza di esercizi che hanno comunque assunto con sensibile ritardo la decisione di delocalizzare”.

 

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