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Doppia bocciatura dal Tar Emilia Romagna: 'Non provato effetto espulsivo'

28 aprile 2023 - 17:20

Con due sentenze riguardanti i ricorsi di un operatore di gioco il Tar nega l'effetto espulsivo delle normative di Coriano, Granarolo dell’Emilia, Mirandola, Finale Emilia, Castelnovo ne’ Monti, Parma, Reggio Emilia.

Scritto da Fm
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È infondato il profilo del cosiddetto 'effetto espulsivo' dell'attività della ricorrente dal territorio dei vari comuni e, quindi, anche dal territorio regionale, che deriverebbe automaticamente dalle delibere regionali impugnate”.

A sancirlo, a proposito dei comuni di Coriano (Rn), Granarolo dell’Emilia (Bo), Mirandola (Mo), Finale Emilia (Mo), Castelnovo ne’ Monti (Re), Parma, Reggio Emilia, è il Tar Emilia Romagna, che con una sentenza respinge il ricorso di un operatore di gioco contro la Regione Emilia Romagna e gli Enti locali in questione, per i vari provvedimenti limitativi delle attività del settore.

“Mentre la questione non si pone in alcun modo avuto riguardo all'ampio ambito regionale, pur non ignorando il Collegio il recente orientamento del Consiglio di Stato, Sez. V, Sent16/12/2022, n. 11036 che ritiene che, per quanto riguarda le attività preesistenti, al fine di scongiurare il verificarsi del c.d. 'effetto espulsivo' non sarebbe sufficiente accertare l'esistenza di una pur minima parte di territorio comunale che sia oggettivamente ed effettivamente fruibile per legittimare la delocalizzazione delle sale giochi/scommesse che non rispettano il suddetto limite distanziometrico (v. in termini: Tar Bologna sez. I n. 703 del 2/11/2020), tuttavia non può non rilevarsi che parte ricorrente non ha fornito al Collegio alcun principio di prova al fine di ritenere che tale effetto possa essersi verificato, in concreto”, sottolineano i giudici amministrativi.

 

IL SECONDO RICORSO - Stessa sorte ha un ricorso presentato dalla stessa società ha impugnato, deducendone l’illegittimità sotto vari profili, gli atti con cui il Comune di Reggio-Emilia, in pretesa attuazione della deliberazione di Giunta regionale Emilia-Romagna n. 831/2017, ha dettato la mappatura dei luoghi sensibili presenti nel territorio comunale e ricompreso la sala giochi della ricorrente tra quelle ubicate a distanza inferiore al limite distanziale di 500 metri, successivamente disponendone la chiusura.

A seguito di tale mappatura, il dirigente del servizio Sportello attività produttive ed edilizia del Comune di Reggio Emilia inviava alla società ricorrente la comunicazione di avvio del procedimento con cui informava la stessa che l’esercizio di sala gioco scommesse essendo ubicato a meno di 500 metri di distanza da luoghi sensibili doveva essere chiuso entro sei mesi dall’approvazione della mappatura.

Nella stessa lettera inoltre si specificava che “al fine di consentire la progressiva delocalizzazione delle sale soggette a chiusura, agli esercizi che intendono proseguire la propria attività in zone non soggette al divieto può essere concessa una proroga fino a un massimo di ulteriori sei mesi rispetto al termine per l’adozione del provvedimento di chiusura. Per beneficiare di detta proroga i titolari delle attività devono presentare entro i sei mesi successivi al Comune competente per territorio la domanda per il rilascio del permesso di costruire oppure l’istanza di avvio delle attività secondo le modalità previste dall’art. 7 del DPR 160/2010 e smi per la nuova sede ubicata in zona non soggetta a divieto”, ricorda il Tar.

Dopo l'avvio di un'istruttoria fra ricorrente e Comune, a oltre due anni dalla data prevista come termine ultimo per la chiusura dell'attività – con la pandemia di Covid-19 nel mezzo a procrastinare la chiusura delle sale in ottemperanza al decreto Cura Italia - la Polizia municipale con un sopralluogo presso i locali della sala gioco scommesse ha riscontrato che era ancora aperta ed in piena attività, fatto che ha spinto il Comune a emanare nei confronti della società ricorrente l’ordinanza di cessazione dell’attività.

Provvedimenti ritenuti legittimi dai giudici amministrativi, così come la legge regionale e i regolamenti comunali attuativi. “ Di conseguenza, nei casi di mancato rispetto del limite distanziometrico previsto dalla più volte citata legge regionale, i suddetti enti territoriali coinvolti nella vicenda, legittimamente ordinano la chiusura dei locali in cui svolge l’attività di sala gioco/scommesse, lasciando però agli operatori economici interessati un lasso temporale di ulteriori 6 mesi, in cui è loro consentito delocalizzare la sala gioco/scommesse”, rimarca la sentenza.

Inoltre, “la limitata applicazione soggettiva dei divieti con differente trattamento tra sale giochi e scommesse già esistenti rispetto a quelle di nuova istituzione comporterebbe effetti distorsivi della concorrenza fra gli operatori economici, favorendo una categoria in luogo di un’altra senza, peraltro, consentire la realizzazione dell’obiettivo perseguito dalla normativa di riferimento che ha introdotto il criterio delle distanze”.

Per il Collegio poi “non si ravvisa nel caso in esame la lamentata espropriazione de facto (peraltro, senza indennizzo) del diritto di iniziativa economica”, tanto che parte ricorrente non ha “proposto alcuna istanza di delocalizzazione” e che all’esito della verificazione disposta dal Consiglio di Stato nell’ambito del giudizio proposto da un'altra società in analogo ricorso “è risultata smentita la tesi di parte ricorrente secondo cui i provvedimenti regionali e comunali avrebbero precluso alla ricorrente la possibilità di delocalizzazione nel territorio comunale”.

In conclusione, si legge nella sentenza, “non sussiste in concreto alcun effetto espulsivo, gli atti deliberativi adottati non soltanto rispettano il principio di ragionevolezza ma, altresì, quello di proporzionalità e, non essendo rimasto precluso lo svolgimento dell’attività della ricorrente ma solo imposta una delocalizzazione della medesima, in concreto non impossibile, si appalesano prive di pregio le censure concernenti un asserito effetto espropriativo generatore di un diritto di indennizzo, nonché le censure concernenti la lesione del legittimo affidamento: la gradualità con la quale, nel caso della Regione Emilia-Romagna, l’amministrazione ha agito, onde pervenire alla c.d. delocalizzazione, costituisce già una misura di salvaguardia degli interessi privati.

Infondato è, infine, anche il quinto motivo del ricorso principale, con cui parte ricorrente lamenta, in estrema sintesi, che la misura della distanza minima legale degli apparecchi da gioco di cui trattasi dai luoghi sensibili integrerebbe una regola tecnica afferente ai servizi della società dell’informazione o la libera commerciabilità dei prodotti e, come tale, avrebbe dovuto essere preventivamente comunicata alla Commissione europea.

Per giurisprudenza consolidata della Corte di giustizia Ue, le restrizioni alle attività di gioco d’azzardo possono essere giustificate da ragioni imperative di interesse generale, quali la tutela dei consumatori e la prevenzione della frode e dell’incitamento dei cittadini ad una spesa eccessiva legata al gioco, sicché, in assenza di un’armonizzazione eurounitaria in materia, spetta ad ogni singolo Stato membro valutare in tali settori, alla luce della propria scala di valori, le esigenze che la tutela degli interessi di cui trattasi implica, ed ai giudici nazionali assicurarsi, in modo coerente e sistematico, tenendo conto delle concrete modalità di applicazione della normativa restrittiva di cui trattasi, che quest’ultima risponda veramente all’intento di ridurre le occasioni da gioco e di limitare le attività in tale settore”.

 

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