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Imposta unica scommesse, Cassazione: 'Ante 2011, assoggettato bookmaker estero senza concessione'

21 novembre 2022 - 16:17

Per la Cassazione è corretto l'assoggettamento ad imposta unica sulle scommesse per l'anno 2009 del bookmaker avente sede all'estero e privo di titolo concessorio.

Scritto da Fm

“Il giudice di appello, quest'ultimo ha fatto corretta applicazione dei principi enunciati, avendo ritenuto l'assoggettamento ad imposta unica sulle scommesse per l'anno 2009 del bookmaker avente sede all'estero e privo di titolo concessorio”.

 

Lo scrivono i giudici della Corte di cassazione nell'ordinanza con cui respingono il ricorso presentato da un operatore di gioco austriaco contro l'Agenzia accise, dogane e monopoli per un avviso di accertamento relativo all'imposta unica sulle scommesse di cui al Dlgs. n. 504 del 1998, la cui validità è stata già confermata dalla Commissione tributaria provinciale e dalla Commissione tributaria regionale del Lazio per cui “non può ritenersi incostituzionale l'applicazione, anche alle annualità d'imposta anteriori al 2011 della disposizione interpretativa contenuta nell'art. 1, comma 66, lett. b), della legge n. 220 del 2010, alla quale non può essere riconosciuta valenza innovativa, essendo già chiara la ratio della norma del 1998 di non consentire l'esercizio e la raccolta del gioco in assenza di concessione ed in evasione d'imposta”.

Secondo la Cassazione, “una volta chiarito che il presupposto del tributo non riguarda la giocata in sé, ma la prestazione di un servizio, che è, appunto, il servizio di gioco sicché il prelievo colpisce il prodotto offerto al consumatore tramite l'organizzazione dell'attività, sotto forma di servizio, v'è da dire che il quadro normativo di riferimento è stato già sottoposto all'esame della Corte costituzionale e della Corte di giustizia, che ne hanno compiutamente esaminato le relazioni, rispettivamente, con la Costituzione e col diritto Ue. Ed invero, la Corte costituzionale, con riferimento all'ambito soggettivo dell'imposta, ha dato atto dell'incertezza correlata all'interpretazione dell'art. 3 del decreto legislativo 23 dicembre 1998 n. 504 per il periodo antecedente alla disposizione interpretativa dell'art. 1, comma 66, della Legge 13 dicembre 2010 n. 220 riconoscendo che il legislatore, con l'art. 1, comma 66, della Legge 13 dicembre 2010 n. 220, da un canto, ha stabilito che l'imposta è dovuta anche nel caso di scommesse raccolte al di fuori del sistema concessorio e, d'altro canto, ha esplicitato l'obbligo delle ricevitorie operanti, come nel caso in esame, per conto di bookmakers privi di concessione al versamento del tributo e delle relative sanzioni (cfr. Corte Cost., 23 gennaio 2018, n. 27).

La Consulta ha quindi escluso che l'equiparazione, ai fini tributari, del 'gestore per conto terzi' (ossia del titolare di ricevitoria) al 'gestore per conto proprio' (ossia al bookmaker) fosse irragionevole, in quanto entrambi i soggetti partecipano, sia pure su piani diversi e secondo diverse modalità operative, allo svolgimento dell'attività di 'organizzazione ed esercizio' delle scommesse soggetta a imposizione. Ed infatti, il titolare della ricevitoria, pur non partecipando direttamente al rischio connaturato al contratto di scommessa, svolge comunque un'attività di gestione, assicurando la disponibilità di locali idonei e la ricezione della proposta ed occupandosi della trasmissione al bookmaker dell'accettazione della scommessa, dell'incasso e del trasferimento delle somme giocate, nonché del pagamento delle vincite secondo le procedure e le istruzioni fornite dal bookmaker”.

In sintesi, si legge ancora nell'ordinanza, “la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 3 del D.L.vo 23 dicembre 1998 n. 504 e dell'art. 1, comma 66, lett. b, della Legge 13 dicembre 2010 n. 220, nella sola parte in cui prevedono che, nelle annualità d'imposta precedenti al 2011, siano assoggettate all'imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse le ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione. In quel periodo non si può, difatti, procedere alla traslazione dell'imposta, perché l'entità delle commissioni già pattuite fra ricevitore e bookmaker si era già cristallizzata sulla base del quadro precedente alla Legge 13 dicembre 2010 n. 220 (Corte Cost., 23 gennaio 2018, n. 27)”.

 

A diversa conclusione, invece, “deve pervenirsi per le annualità dal 2011. L'illegittimità costituzionale della norma in esame, infatti, è stata riscontrata 'in ragione dell'impossibilità per le ricevitorie di traslare l'imposta per gli esercizi anteriori al 2011' con conseguente violazione dell'art. 53, Cost., 'giacchè l'entità delle commissioni pattuite fra ricevitore e bookmaker si era già cristallizzata sulla base del quadro regolatorio, anche sotto il profilo tributario, precedente alla legge n. 220 del 2010'”.

La ragione di incostituzionalità, evidenziano i giudici, “non è stata ravvisata per i 'rapporti successivi al 2011', quindi, non soltanto per gli eventuali rapporti negoziali perfezionati dopo l'entrata in vigore della norma interpretativa, ma anche per i rapporti che, seppure sorti in data antecedente, si sono protratti oltre l'entrata in vigore della medesima norma. Ciò posto, va evidenziato che nel presente giudizio si controverte sul periodo d'imposta del 2010 e che viene in rilievo la sola posizione del bookmaker. Ne consegue che le complessive censure sono infondate, alla stregua dei principi sopra espressi. Non può ritenersi che l'obbligazione solidale del bookmaker privo di concessione, delineata dalla disposizione interpretativa del 2010, sia da considerare dipendente, con la conseguenza che, venendo meno la configurabilità della responsabilità principale della ricevitoria, correlativamente verrebbe meno anche quella dipendente del bookmaker.

La Corte costituzionale, infatti, ha chiarito che entrambi i soggetti (la ricevitoria e il bookmaker), partecipano, sia pure su piani diversi e secondo diverse modalità operative, allo svolgimento dell'attività di 'organizzazione ed esercizio' delle scommesse soggetta a imposizione, svolgendo entrambi l'attività gestoria delle scommesse, sicché la pronuncia di incostituzionalità, se da un lato ha inciso sulla parte della norma interpretativa in cui ha configurato, per il periodo precedente all'entrata in vigore, la responsabilità della ricevitoria, non ha fatto venire meno la responsabilità del bookmaker privo di concessione”.

Inoltre, “la situazione del centro trasmissione dati che trasmette i dati di gioco per conto degli operatori di scommesse nazionali è diversa da quella del centro trasmissione che li trasmette per conto di un operatore che ha sede in altro Stato membro. La statuizione non è affatto oscura giacché la diversità della situazione è in re ipsa, per il fatto stesso che si tratta di soggetto che raccoglie scommesse per conto di un bookmaker estero: nel settore dei giochi d'azzardo, difatti, il ricorso al sistema delle concessioni costituisce '...un meccanismo efficace che consente di controllare gli operatori attivi in questo settore, allo scopo di prevenire l'esercizio di queste attività per fini criminali o fraudolenti'); e ciò in conformità agli obiettivi perseguiti dal legislatore italiano, dinanzi indicati, come puntualmente rimarcato dalla Corte di giustizia. Di qui l'esclusione, anche con riguardo alla posizione del centro trasmissione dati, di qualsiasi restrizione discriminatoria, il che conferma la infondatezza del terzo motivo di ricorso, col quale si prospettano le questioni di parità di trattamento e non discriminazione già risolte dalla Corte di giustizia. Ne consegue l'infondatezza delle censure prospettate dalla parte ricorrente con riguardo alla tenuta del quadro interno rispetto al diritto Ue. Resta solo da aggiungere che non si ravvisano i presupposti per promuovere dinanzi alla Corte di giustizia un nuovo rinvio pregiudiziale, alla stregua dei principi espressi dalla Grande Sezione della Corte di giustizia (Corte giust. 6 ottobre 2021, C-561/19) a tenore dei quali l'articolo 267 Tfue deve essere interpretato nel senso che un giudice nazionale avverso le cui decisioni non possa proporsi ricorso giurisdizionale di diritto interno deve adempiere il proprio obbligo di sottoporre alla Corte una questione relativa all'interpretazione del diritto dell'Unione sollevata dinanzi ad esso, a meno che constati che tale questione non è rilevante o che la disposizione di diritto dell'Unione di cui trattasi è già stata oggetto d'interpretazione da parte della Corte o che la corretta interpretazione del diritto dell'Unione s'impone con tale evidenza da non lasciare adito a ragionevoli dubbi. Orbene, nel caso di specie la giurisprudenza della Corte di giustizia sopra richiamata rende all'evidenza insussistenti i presupposti per suggerire un nuovo rinvio pregiudiziale, risultando la questione già esaminata dalla Corte”.

 

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