“Non rientra nell'esercizio abusivo di attività di gioco o di scommessa la raccolta per conto di un un allibratore straniero autorizzato ad operare in uno Stato dell'Unione ed illegittimamente discriminato in Italia nell'assegnazione delle concessioni di gioco, effettuata in modo trasparente, in forza di vincolo contrattuale con il bookmaker, secondo lo schema della raccolta attraverso i luoghi di vendita".
Questo il principio che ruota intorno ad una recente sentenza della Cassazione, che oltre ad aver trattato il reato di intermediazione nella raccolta abusiva del gioco o nell’utilizzo dei conti di gioco “anonimi” ha anche ribadito l’esclusione del reato e la conferma della sua precedente giurisprudenza in materia di attività di raccolta del gioco tramite luoghi di vendita collegati con operatori discriminati nell’accesso al sistema concessorio italiano.
A commentarla è l'avvocato Daniela Agnello.
“La Corte ha affrontato dei principi di diritto fondamentali che non possono essere tralasciati.
Il Supremo Collegio ha analizzato la posizione di un esercizio commerciale dedito alla raccolta e accettazione delle scommesse che metteva a disposizione dei clienti il proprio conto gioco o conti di gioco di comodo, in collegamento con un operatore austriaco che sollevava dei profili discriminatori nell’accesso al sistema concessorio italiano. La Corte ha ritenuto in tale caso la configurabilità del reato”.
Gli stessi Ermellini, rimarca la legale, “però, hanno ben differenziato la condotta dei soggetti che 'agendo per conto di un allibratore straniero autorizzato ad operare in uno Stato dell'Unione ed illegittimamente discriminato in Italia nell'assegnazione delle concessioni di gioco, effettui in modo trasparente, in forza dl vincolo contrattuale con il bookmaker, attività di raccolta delle scommesse, di incasso delle poste di gioco, di trasmissione dei dati all'allibratore ed, eventualmente, di pagamento delle vincite su mandato di quest'ultimo, secondo lo schema della raccolta delle scommesse attraverso i "luoghi di vendita'. In questi casi, la Corte ha ribadito la sua giurisprudenza e alla luce del diritto europeo ha affermato che 'non integra il reato di cui all’art. 4 L.401/89'”.
La Corte ha espressamente citato la sentenza depositata
il 9 settembre 2020 in favore dei titolari dei centri Stanleybet, difesi dall’avvocato Agnello, con espresso richiamo della sua costante giurisprudenza in materia, e delle plurime sentenze della Corte di giustizia Ue e ha confermato che
non si possono applicare sanzioni ai titolari del centri che hanno formalizzato la richiesta di autorizzazione di polizia e sono contrattualmente legati all’operatore Stanleybet, ostacolato e discriminato nell’accesso al sistema concessorio italiano.
La Corte, quindi, “nuovamente ha confermato la regolarità e liceità dell’attività dei luoghi di vendita con conseguente riconoscimento che il rapporto esistente tra il concessionario Adm su rete fisica e le sue ricevitorie è pienamente equiparabile a quello tra la società Stanleybet e i suoi Ctd”, conclude Agnello.