“È decisiva, ai fini del decidere, la considerazione, di carattere funzionale e sistematico, per cui quando la Corte costituzionale, nel 2013, ha deciso sui minimi garantiti per gli anni dal 2006 al 2010, le ragioni dell’impugnazione prima, e poi quelle della rimessione alla Corte, erano incentrate sul fatto che l’Amministrazione non aveva ancora approvato le misure di salvaguardia previste dal decreto Bersani, e che poi, subito dopo l’emanazione del decreto 2012, aveva applicato la percentuale fissa del 5 percento, sospettata di illegittimità costituzionale sia come legge provvedimento, sia quale previsione irragionevole. All’epoca della rimessione alla Corte, dunque, lo squilibrio era dovuto ad un accadimento storico ben preciso, e cioè alla liberalizzazione introdotta dal decreto Bersani, mentre nel caso che ci occupa la transazione agevolata del 2003 aveva avuto ad oggetto la gestione di un altro squilibrio”.
È quanto si legge nella sentenza con cui il Consiglio di Stato ha accolto l'appello dell'Agenzia accise, dogane e monopoli contro un concessionario di gioco, al quale il Tar Lazio aveva dato ragione per aver impugnato le note con cui nel 2010 l'allora Aams gli aveva “intimato il versamento delle rate scadute delle integrazioni alle quote di prelievo a titolo di minimi garantiti, per il biennio 2000-2002, relativamente a nove concessioni di gioco ippicon ella sua titolarità (c.d. concessioni 'storiche'), poi revocate ai sensi dell’art. 4-bis del Dl. n. 59/2008, convertito dalla legge n. 101/2008 - Disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi comunitari e l'esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee”.
Il Tar Lazio nel 2021 aveva accolto il ricorso del concessionario, annullando gli atti impugnati, basandosi su due due concorrenti motivazioni: “i) da un canto, per la natura novativa delle nuove determinazioni, che ha fatto venire meno l’efficacia delle corrispondenti pattuizioni contenute nelle convenzioni originarie, determinando così l’estinzione di ogni ulteriore obbligazione collegata all’assetto previgente; ii) da un altro canto, per la rottura dell’equilibrio sinallagmatico fra le parti, che ha determinato la necessità di ricondurre ad equità il rapporto, soprattutto sotto il profilo dei debiti maturati in capo ai concessionari, in linea con la giurisprudenza della Corte Costituzionale (sentenza n. 275 del 2013), che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 10, comma 5, lett. b), del decreto legge n. 16 del 2012, nella parte in cui prevedeva l’applicazione del limite del 5 percento al congegno transattivo rimesso alle Amministrazioni di settore”.
Invece ora il Consiglio di Stato sottolinea che "la circostanza che il biennio 2000/2002 fosse stato già fatto oggetto di definizione agevolata, rende ragione del fatto che la percentuale di sconto, al tempo, fosse stata prevista in una soglia molto alta, pari al 33 percento. Quel biennio non può trovare ulteriore diminuzione, avendo il decreto Bersani, un senso logico, prima ancora che giuridico, solo per i nuovi minimi, per i quali infatti si era demandata all’Amministrazione l’emanazione di nuove misure. In definitiva, dunque, ad avviso della Sezione, l’argomento letterale riferito al Dpr del 1998 concerne solamente il concetto giuridico del prelievo sui minimi, ma non anche quello delle percentuali. Peraltro, la tesi difensiva della società appellata si scontra anche con un dato controfattuale: a tutto volere concedere, infatti, qualora si ritenesse che il quadro giuridico ed economico definito in via agevolata nel 2003 non si sia ancora cristallizzato, ciò significherebbe rinunciare al beneficio del 33 percento, il che - ovviamente – non può essere interesse del concessionario ottenere”.