Cina, nella stretta ai videogame il doppio fine di Pechino
Per il governo cinese le preoccupazioni per un uso smoderato dei videogame da parte dei minori vanno a braccetto con la necessità di ridimensionare lo strapotere delle fintech.
Ufficialmente l'idea che passa è che il governo cinese è preoccupato per i ragazzi. E può essere. Non è la prima volta che Pechino si muove per limitre l'utilizzo dei videogame, che distraggono i ragazzi dallo studio e il cui uso sregolato può causare problemi anche gravi, come la perdita della vista, ad esempio. Così già negli anni scorsi la Cina aveva imposto delle restrizioni ai minori di 18 anni, ai quali dal 2019, e fino a oggi, 31 agosto, era permesso giocare online nei giorni feriali per un massimo di 1 ora e mezza (3 nei festivi) con divieto assoluto dalle 22 alle 8 del mattino.
Da domani, 1° settembre, si cambia ancora. Si gioca al massimo 3 ore complessive alla settimana e, dal venerdì alla domenica, solo dalle 20 alle 21. Alle aziende che offrono questo tipo di intrattenimento è richiesto di certificare età e identità dei giocatori, anche con strumenti tecnologici innovativi, come il controllo facciale, oltre alla richiesta di registrazione con nome reale.
Una stretta, quella che parte domani, che era stata in qualche modo anticipata nelle scorse settimana da un attacco mediatico, poi leggermente smorzato nei giorni successivi, lanciato da uno dei principali quotidiani del Partito comunista cinese. Nell'editoriale pubblicato dall'Economic Information Daily i videogiochi venivano infatti dapprima definiti "oppio spirituale" per i giovani, auspicando nuove misure restrittive per limitarne l'uso; successivamente tuttavia l'articolo è stato rimosso a causa della sua "errata interpretazione", come ha scritto Hu Xijin, editore del Global Times, sul suo account WeChat.
Una interpretazione eccessiva che aveva portato a una perdita del 10 percento delle quotazioni di multinazionali cinesi come Tencent e NetEase (ma anche altre, come Xd e Gmge) alla borsa di Hong Kong. Un crollo di diversi miliardi di dollari di fronte al quale i media governativi hanno dovuto tornare sui loro passi, forse in attesa di indicazioni ufficiali sulle nuove intenzioni del governo. Decisioni che sono poi state comunicate ieri dalla National Press and Publication Administration, che ha pubblicato i nuovi orari nei quali è consentito giocare.
Ma c'è un altro aspetto che preoccupa il governo cinese, ed è la crescita continua, inarrestabile, dei "suoi" giganti tech. Aziende che, grazie agli acquisti ingame, o a servizi WeChat Pay (o Alipay di Alibaba) ed altri, hanno accumulato una quantità di denaro enorme tanto da arrivare a impensierire lo stesso sistema bancario statale. La stretta sui videogame, quindi, non sarebbe altro che un altro tassello di un più ampio piano di regolamentazione che la Cina vuole imporre alle multinazionali tecnologiche.
Nei mesi scorsi la China's State Administration for Market Regulation (Samr) ha già sanzionato alcune fintech come ByteDance (che ha il suo prodotto di punta nel famoso TikTok) per violazione della normativa antimonopolistica. Come riporta il Cesi, Centro studi internazionali di Roma, la stessa Samr ha quindi aperto indagini anche su Alibaba e Tencent, rispettivamente per abuso di posizione dominante e violazione della normativa antitrust. Opeazioni in linea con l'impostazione del socialismo di mercato cinese, che lascia spazi di manovra all'impresa privata purché le sue dimensioni non sfuggano di mano al controllo statale, pronto, nel caso, a intervenire rapidamente, anche con decisioni drastiche.