Divieto di pubblicità al gioco, una scelta perdente?
Il decreto Dignità ha puntato a 'vincere' il Gap vietando del tutto la pubblicità del gioco con vincita in denaro ma i risultati sono diversi da quelli sperati. Come raccontano il giornalista Paolo Zucca e il sociologo Nicola Ferrigni.
Il 14 luglio 2018 entrava in vigore il decreto Dignità, provvedimento che ha avuto un unico grande effetto, ossia quello di cambiare le sorti del comparto del gioco pubblico in modo considerevole, introducendo in Italia il divieto di pubblicità dei giochi con vincita in denaro.
Il decreto, che in realtà ha inasprito divieti già introdotti da una precedente misura (il decreto Balduzzi, del 2012), prevedeva un periodo di transizione di 12 mesi, così che il vero e proprio totally adv ban è stato attuato in realtà dal 14 luglio 2019.
Sono passati oltre quattro anni, e il divieto di pubblicità di gioco, come detto, è l’unica misura che rimane in memoria di un decreto che, su tutto il resto, è stato completamente rivoluzionato dal Governo Meloni, a iniziare dall'abolizione del reddito di cittadinanza.
Ora l'argomento in questi giorni è tornato di attualità alla luce del caso che ha visti coinvolti i calciatori Nicolò Fagioli, Sandro Tonali e Nicolò Zaniolo in un giro di scommesse su piattaforme illegali, riportando al centro del dibattito l'esigenza di una maggiore informazione sui siti di gioco leciti.
Al decreto Dignità e al divieto di pubblicità del gioco abbiamo dedicato un corposo speciale, pubblicato sul numero di ottobre della nostra rivista, consultabile integralmente online a questo link.
Nicola Ferrigni, professore associato di Sociologia presso l’Università degli studi “Link Campus University” di Roma, dove dirige il laboratorio di ricerca sociale Link Lab, spiega, parlando in generale del concetto di “divieto”: “Di per sé, esso non educa all’autonomia della persona. Ma quando c’è una sfiducia sociale dominante, laddove esiste il sospetto reciproco tra cittadini e organi statali, questi ultimi tendono a esercitare un controllo che comporta anche, molto spesso, l’emanazione di numerose norme scritte e, tra queste, appunto, dei divieti. Nello specifico del gioco però sono molte le variabili da considerare così che, seppur il divieto non sia una misura altamente pedagogica, vi sono molteplici fattori, tra i quali il pericolo della dipendenza, che lo giustificano”.
È anche vero che, come la storia ci insegna, censure e divieti hanno sempre contribuito a creare i presupposti per lo sviluppo di un mercato illegale. Ed è pure su questo punto che alcuni operatori del settore sostengono sia da riconsiderare il divieto di fare pubblicità al gioco, essendo questa anche una forma di informazione, che potrebbe essere utile per istruire il giocatore sulla differenza tra gioco legale, più controllato, anche dal punto di vista della dipendenza, e quello che invece è il gioco illegale.
“Sono valutazioni difficili”, è il pensiero di Paolo Zucca, giornalista del Sole24ore, ex direttore dell’inserto Plus24, attualmente impegnato nella promozione dell’educazione finanziaria, della tutela del risparmio e dei nuclei famigliari, tematiche che lo portano spesso a incrociare anche il mondo del gioco.
“Da osservatore”, spiega, “notavo che prima il betting, e poi le crypto, comparivano anche sulle maglie delle principali squadre di calcio e su tanti giornali, con messaggi effettivamente molto visibili. Ora, quello che a mio parere va valutato è il tipo di mentalità che andiamo a creare, con questi messaggi. Perché la realtà è che tutti amiamo divertirci e che il gioco, anche quando ha una componente di soldi, ha una sua bellezza e un suo divertimento. Però c’è un piacere del gioco, della partitella a carte, del vincere con gli amici, nel quale occorre sempre tenere la misura. Non si può ignorare il fenomeno della ludopatia.”
Si torna a parlare di ritoccare il divieto di pubblicità. In base alla sua esperienza lei su quali aspetti agirebbe?
“Penso che alcuni inviti a giocare con prudenza andrebbero maggiormente valorizzati, perché penso sia sempre da considerare quale tipo di atteggiamento possono generare comportamenti ripetuti nel tempo.”
Nell’ambito della Delega fiscale, il Governo metterà in atto la tanto attesa riforma del gioco pubblico, nella quale il problema gioco patologico è già contemplato in premessa. Quindi secondo lei i limiti alla pubblicità dovranno essere mantenuti?
“Io mi auguro che la riforma arrivi e sia fatta con equilibrio, senza penalizzare nessuno, ma con una mano abbastanza ferma. Lo Stato deve fare il possibile per uscire da una certa ambiguità, valutando bene quelle che sono le reali entrate dal gioco. Il giocatore ludopatico riversa i suoi problemi sulla famiglia e anche poi sugli amministratori pubblici. Se il soggetto ha problemi sanitari, infatti, questi ricadono sulla collettività.”
A suo parere è un problema che deve essere affrontato solo dallo Stato centrale?
“Penso proprio di no. Molto si fa anche a livello locale. Di recente poi, alcune banche hanno adottato dei sistemi per cui utilizzando le carte di pagamento in ambito di gioco si può incorrere in dei vincoli o, nei casi peggiori, anche in dei blocchi delle carte stesse. In tal caso è la banca, come la Banca popolare dell’Emilia, che si è fatta garante nel caso qualcuno stesse mettendo in atto un gioco compulsivo. Credo che questa possa essere una strada per aiutare da chi è preso da questa distrazione della sua normalità.”
Sono politiche che anche numerosi operatori già mettono in atto.
“Esatto, è molto salutare da parte loro riuscire a essere loro stessi controllori del gioco. Le questioni etiche, infatti, sono sempre più importanti. Chiaro che su questo i buoni operatori poi vanno in difficoltà contro i cattivi operatori, contro chi non applica affatto politiche di questo tipo. Ma credo che più è etico il comportamento di un operatore, più questo, alla lunga, possa guadagnarne.”
Ma in quest’ottica non trova che il decreto Dignità penalizzi un po’ troppo le aziende che lavorano legalmente, che non riescono a farsi conoscere e a far conoscere la loro offerta legale?
“Da osservatore penso che togliendo il gioco potrebbe effettivamente aprirsi il campo per qualche altra soluzione non legale, questo perché una certa voglia di divertimento è insita nell’uomo. Ma la realtà è che l’argomento, con i suoi risvolti psicologici e sociologici, è davvero complesso.”
Abbiamo parlato di Stato, di enti locali e di operatori, cos’altro manca a suo parere?
“Credo fermamente che debba scattare anche qualcos’altro, a livello di famiglia e di quartierato. Se c’è una persona ludopatica in un condominio sono le stesse persone che le stanno vicino quotidianamente che dovrebbero fare il possibile per aiutarla.”
In precedenza ha citato il trading online e le criptovalute, un fenomeno che il decreto Dignità non sfiora. Lei lo vede così vicino al gioco d’azzardo?
“Sì, e vedo il pericolo soprattutto per i giovani, perché soprattutto negli slanci estremi del trading online il substrato psicologico è lo stesso su cui si basa l’azzardo.”
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