Divieto pubblicità gioco, Tar Lazio annulla sanzione dell'Agcom a Meta
Secondo il Tar Lazio non è stato dimostrato che Meta (Facebook) fosse a conoscenza della presenza sulla piattaforma di pubblicità illecita al gioco in spregio al decreto Dignità.
“Il meccanismo di controllo automatizzato non è sufficiente per qualificare la ricorrente come hosting provider attivo; non è stata dimostrata la conoscenza effettiva da parte della ricorrente dell’attività illecita posta in essere dagli utenti (mancando la prova che le misure 'proattive' adottate dal gestore del servizio abbiamo implicato la conoscenza delle attività illecite)”.
Queste, in sintesi, sono alcune delle motivazioni con cui il Tar Lazio accoglie il ricorso presentato da Meta (Facebook) contro la sanzione da 750.000 euro comminatale dall'Agcom - Autorità per le garanzie nelle comunicazioni nel dicembre 2022 per la presunta violazione del divieto di pubblicità al gioco introdotto dal decreto Dignità.
Tale sanzione era stata motivata dall'Agcom “in ragione della presenza, riscontrata nelle date del 2, 3, 12 e 23 maggio 2022, di contenuti (video e immagini, collegamenti ipertestuali etc.) 'sponsorizzati a pagamento' sulla piattaforma Facebook idonei a promuovere e pubblicizzare attività di gioco e scommesse on line con vincite in denaro”, ricorda la sentenza.
I giudici amministrativi capitolini evidenziano che “solo con la notifica dell’atto di contestazione della violazione dell’art. 9 del decreto Dignità (che ha avviato il procedimento sfociato nell’irrogazione dell’avversata sanzione) la ricorrente ha acquisito la conoscenza dell’esistenza delle inserzioni pubblicitarie illecite e ha conseguentemente provveduto a rimuovere i 'Post' oggetto della contestazione”.
Inoltre, rimarca il Collegio, "venendo in rilievo una attività del provider consistente nella mera elaborazione tecnica e automatica delle informazioni fornite dal destinatario del servizio, deve escludersi che la ricorrente avesse una conoscenza effettiva dei contenuti illegali memorizzati dagli utenti sulla piattaforma e che, conseguentemente, avesse la possibilità di attivarsi utilmente per rimuovere i suddetti contenuti.
Né l’Autorità ha dimostrato che il gestore della piattaforma fosse a conoscenza del comportamento illecito dell’utente del servizio.
A tal fine avrebbe dovuto (allegare e) dimostrare che, nel caso di specie, ricorresse uno di quei casi limitati in cui a seguito del controllo automatico effettuato dal software interviene una verifica da parte di una persona fisica (c.d. 'revisione umana'), posto che solo il contatto di una risorsa umana con il contenuto vietato può implicare la condizione di effettiva conoscenza idonea a giustificare un addebito in capo al provider a titolo di concorso nella commissione dell’altrui illecito.
Va, infine, precisato che il requisito della conoscenza non può ritenersi integrato, come sostenuto dall’Autorità resistente (cft. pag. 18 della delibera), per il solo fatto che gli standard pubblicitari adottati dalla società prevedono la “previa autorizzazione scritta” per la pubblicazione di inserzioni che promuovono il gioco d’azzardo.
Infatti, è incontroverso, ai sensi dell’art. 64, comma 2, c.p.a., che, nella vicenda in esame, gli utenti che hanno immesso le inserzioni contestate non avevano ricevuto l’autorizzazione scritta prevista dagli standard pubblicitari (come dedotto dalla ricorrente a pagine 2 e 3 della memoria depositata ex art. 73 c.p.a.).
Ne deriva che difetta il presupposto fattuale - il rilascio di una simile autorizzazione da parte della ricorrente - valorizzato dall’Autorità per concludere che la ricorrente fosse a conoscenza del contenuto sponsorizzato".
Accogliendo il ricorso di Meta, per l'effetto il Tar Lazio annulla la delibera dell'Autorità per le garanzie nelle Comunicazioni del dicembre 2022.
In allegato il testo integrale della sentenza del Tar Lazio.
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