"Il Collegio è dell’avviso che i limiti, vincoli e controlli imposti dal legislatore all’attività tanto dell’esercente regolarizzato tanto di quello non aderente alla regolarizzazione non si pongano in contrasto con l’art. 41 della Costituzione in ragione dell’evidente utilità sociale perseguita e della non palese incongruità delle misure adottate a tal fine".
È quanto si legge nella sentenza con la quale il Tribunale amministrativo regionale del Lazio respinge il ricorso presentato da da Stanley International Betting Limited e StanleyBet Malta Limited contro Agenzia delle dogane e monopoli, ministero dell'Economia e ministero dell'Interno.
Il ricorso era stato presentato da un affiliato Stanley, come si legge nella premessa della sentenza, nell'intento “di conseguire la rimozione di una serie di misure discriminatorie, escludenti, autoincriminanti e carenti di trasparenza, adottate in (suo) pregiudizio”. Una visione che risulta tuttavia opposta a quella del Tar laziale.
Il collegio infatti risponde sottolineando inizialmente le "numerose contraddizioni in cui incorre parte ricorrente nel tessere il reticolo argomentativo a sostegno delle asserite illegittimità che la contestata disciplina sconterebbe", e poi respingendo, punto per punto, le tesi dei ricorrenti.
"Ad avviso del Collegio, dunque", si legge ancora, "nessuna consolidata posizione può vantare Stanley in ordine alla possibilità di proseguire la propria attività in Italia attraverso la propria rete, non risultando essa in alcun modo affrancata dal rispetto della normativa interna, non potendo desumersi da quanto affermato dalla Cgue (la Corte di giustizia dell'Unione europea, Ndr) il riconoscimento della legittimità di tali attività o la sussistenza di una posizione protetta dalla giurisprudenza comunitaria, che debba essere salvaguardata dalla nuova disciplina di cui ai commi 643 e 644, pena l’attribuzione a Stanley di una posizione di ingiustificato privilegio".
Citando ancora la sentenza della Cgue, il Tar Lazio sottolinea quindi che "ne discende, pertanto, la compatibilità del sistema regolatorio italiano con le libertà fondamentali asseritamente incise nonché con i principi di ordine pubblico e di contrasto alla criminalità organizzata, rispetto ai quali ogni Stato membro resta libero di adottare le norme e le misure necessarie a preservare tali principi."
E continua riportando che "sempre la Corte di Giustizia ha chiarito, poi, come i principi di libera circolazione e di divieto di limitazione o restrizione presidiati dalle regole di trasparenza e pubblicità della direttiva 98/34/CE non siano né assoluti né generalizzati e come, in particolare, la disciplina dei giochi d’azzardo rientri nei settori in cui sussistono tra gli Stati membri divergenze considerevoli di ordine morale, religioso e culturale, in base alle quali restrizioni alle predette attività di gioco possono essere introdotte se giustificate da ragioni imperative di interesse generale, come la dissuasione dei cittadini da una spesa eccessiva legata al gioco medesimo".
"Ebbene, il Collegio", si legge ancora, "in linea anche con la giurisprudenza nazionale è dell’avviso che nel caso di specie la restrizione di cui si discorre non abbia carattere 'generale ed indiscriminato', attesa la sussistenza di 'ragioni imperative di interesse generale', idonee di per sé a giustificare la limitazione delle libertà comunitarie conseguente al sistema concessorio italiano, posto a tutela di interessi pubblici quale la tutela della sicurezza e della salute dei cittadini nonché dell’ordine pubblico, inteso come lotta contro la criminalità e come canalizzazione delle attività dei giochi di azzardo in circuiti che consentano il controllo dei flussi finanziari derivanti dall’attività di raccolta delle scommesse".
"Emerge già dal dettato della norma", continua il Tar Lazio, "come non fosse affatto escluso che aderissero alla procedura sia i singoli punti fisici di offerta di scommesse (per il tramite di un soggetto già concessionario di Stato), sia le imprese estere di regia dei punti di offerta di scommesse in Italia. In particolare, infatti, se al singolo Ctd era offerta la possibilità di regolarizzarsi quale 'gestore' di un punto di raccolta di scommesse".
Il Tribunale laziale evidenzia come il legislatore non persegua l’intento di "ottenere una autoincriminazione degli esercenti interessati, invero consentendo a quest’ultimi, di conseguire, con l’adesione alla procedura, un diritto avente contenuto analogo a quello degli operatori titolari di concessione rilasciata dall’Agenzia, in forza del quale costoro sono pienamente legittimati a svolgere l’attività di raccolta scommesse".
Tutti argomenti che portano il Tar a respingere quindi il ricorso, ritenendo che non sia ravvisabile, quindi, "l'incostituzionalità di una disciplina procedurale che, a ben vedere, offre a Stanley e alla sua rete di allinearsi, anche concorrenzialmente, ai concessionari di Stato".